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Autonomia, vertice a oltranza. Intesa sulla parte economica. Salvini per la prima volta ha aperto a possibili modifiche parlamentari

Il vertice di ieri sera a Palazzo Chigi sull’autonomia potrebbe essere ricordato per lo schieramento di forze in campo ma anche per la prima svolta concreta dopo mesi di stallo. La Sala Verde ha accolto,a partire dalle 20 di ieri sera, una cinquantina di persone. L’esecutivo pressoché al completo con una parata di ministri, sottosegretari, capi di gabinetto, capi di segreteria per non parlare di interi drappelli di tecnici dei ministeri e delle Regioni coinvolte. Del resto ci si giocava il tutto per tutto. La prima parte dell’incontro allargato è stata monopolizzata, ed era prevedibile, dal tema più spinoso, quelle delle risorse.

Nel corso della prima ora, infatti, a far la parte del leone, oltre al premier Giuseppe Conte, sono stati il ministro del Tesoro Giovanni Tria e i sottosegretari Stefano Buffagni, Laura Castelli e Massimo Garavaglia. Proprio Garavaglia, uscendo dall’incontro, ha dichiarato: «Finita la parte finanziaria, ora si parla di competenze. – ha detto il viceministro all’Economia – Il clima è positivo, molto bene. Si pensa di chiudere in serata».

Dalle prime informazioni filtrate dal vertice, si sarebbe trovato infatti l’accordo con Tria proprio sulla parte finanziaria arrivando a un compromesso: accantonare il «costo medio pro capite» per partire semplicemente dalla spesa storica e passare, in 5 anni, alla spesa e ai costi standard. L’alchimia da distillare è sull’equilibrio con le Regioni del Sud. Il costo medio pro capite infatti, era a metà fra la spesa storica e il costo standard in cui si intravedeva un potenziale squilibrio con il Sud. Non è un caso se fra la delegazione veneta c’è chi sottolinea come, ad esempio sul delicato capitolo Sanità l’accordo con il ministro pentastellato Giulia Grillo c’è ed è solido ma «l’unico scoglio potrebbe essere la Lezzi». Perno di buona parte delle perplessità sulle istanze autonomiste, infatti, è proprio Barbara Lezzi che pochi giorni fa, al Corriere del Veneto , aveva chiarito senza giri di parole le proprie posizioni. E il suo ruolo, da «battitore libero», non essendo inchiodata ai tavoli delle trattative punto per punto è stato in questi mesi strategico per la «resistenza».

La giornata, ieri, era stata inizialmente scandita dall’ottimismo del vice premier Matteo Salvini: «Ho pranzato adesso con Luca Zaia e Attilio Fontana, è da tempo che siamo pronti sulle autonomie, speriamo che questa sia l’ultima riunione». Una riunione a cui, si diceva, c’erano proprio tutti: l’altro vice premier Luigi Di Maio, naturalmente Erika Stefani, autrice della bozza di intesa che è entrata a Palazzo Chigi mesi fa e non ne è più uscita ma anche Gian Marco Centinaio ministro all’Agricoltura e al Turismo, Riccardo Fraccaro, titolare dei rapporti con il Parlamento e, fra gli altri, il guardasigilli Alfonso Bonafede. Tutti coinvolti, a vario titolo, dalle richieste sulle ventitré materie su cui il Veneto e, in misura minore, Lombardia ed Emilia Romagna hanno chiesto più autonomia.

Altro punto che, dalle prime indiscrezioni a incontro ancora in corso, pare arrivato a dama è quello del metodo. Il governatore Zaia aveva già dichiarato che il passaggio parlamentare del testo non lo spaventava. A concedere il suo placet o ad assicurare quanto meno un’apertura, questa volta, sarebbe stato Salvini. «Sulle autonomie il mio testo è pronto da mesi» specifica il titolare degli Interni. Un testo che non potrà essere sottoposto alle modifiche del Parlamento? «No, no, no. Il Consiglio dei ministri, il cdm, dovrà approvare un’intesa che dovrà essere sottoposta alle Regioni. Poi il Parlamento potrà discutere, ci sono le commissioni che possono approfondire, suggerire, modificare… Per carità di Dio. Ma se dal Cdm non esce un testo, di cosa stiamo parlando? L’importante è che esca un testo» ha detto Salvini. Insomma, purché il testo «esca» dalle sabbie mobili di Palazzo Chigi. Se il prossimo capitolo sarà il vaglio tutt’altro che agevole delle Commissioni parlamentari e, infine, dell’aula, poco male. Purché non permanga uno stallo che si fatica ogni giorno di più a giustificare sui territori e nel borsino dei mutati pesi politici post voto europeo. Diverso, invece, il discorso, sul merito perché permangono sacche di resistenza ministeriale. E un esempio su tutti è quello dell’Istruzione. Boccone tanto più amaro perché alla guida del dicastero c’è il leghista Marco Bussetti che se la deve vedere con la potenza di fuoco dei sindacati della scuola fermamente contrari. Il bilancio complessivo è di una discussione che non ha visto strappi tanto che qualche passo avanti, concreto, si sarebbe fatto.

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