Paolo Baroni. Dal «Quantitaive easing» lanciato nelle scorse settimane dalla Bce può arrivare un contributo molto significativo alla crescita del nostro Pil: 0,5 punti d Pil quest’anno e addirittura 1,4 nel biennio 2015-2016, stima la Banca d’Italia che dedica un «occasional paper» al programma di riacquisto di attività finanziarie messo in campo da Draghi per sfuggire all’incubo deflazione e far ripartire l’economia europea che per l’Italia vale 160 miliardi di manovra su 1140. In pratica i tre quarti della crescita del biennio prevista dal governo (2%) sarebbe indotta dall’esterno.
Debito meno pesante
Analizzando in dettaglio i vari «canali di crescita» si scopre che il primo riguarda il calo atteso nei tassi sui titoli di Stato a lungo termine che contribuisce in maniera importante con una riduzione di 85 punti base: dato significativo ma che, riconoscono gli stessi autori dello studio (Pietro Cova e Giuseppe Ferrero), potrebbe essere più accentuato. L’atteso deprezzamento dell’euro, stimato in totale all’11,4% rispetto alle valute dei principali partner, dovrebbe invece aumentare di circa il 6% la competitività di prezzo delle nostre esportazioni (a parità di altre condizioni) per via della elevata quota di scambi con i partner dell’area dell’euro e far crescere le nostre esportazioni del 4% nel biennio. Un aumento questo che stimolerebbe poi gli investimenti, che crescerebbero di oltre 2 punti fornendo un contributo rilevante alla domanda aggregata. Complessivamente tramite il tasso di cambio, il programma della Bce può dare un contributo complessivo al Pil italiano di quasi 1 punto percentuale nel 2015-2016. Altri benefici sono attesi «dall’aumento della spesa delle famiglie, che avrebbero una minore convenienza a risparmiare, e delle imprese, che potrebbero investire di più beneficiando del calo del costo d’uso del capitale». Pertanto i consumi crescerebbero complessivamente di quasi mezzo punto mentre gli investimenti salirebbero di oltre un punto. In totale, osserva Bankitalia, questo canale porterebbe a un ulteriore aumento del Pil di circa mezzo punto. Più difficile, riconoscono gli esperti, quantificare invece gli effetti del «Qe» sulle aspettative di inflazione e sulla fiducia del settore privato.
Giù la fiducia
E a proposito di crescita bisogna registrare che ad aprile, per la prima volta da fine, 2014 la fiducia di imprese e consumatori è tornata a calare: pur restando entrambi gli indici ai massimi livelli da anni, il primo è infatti passato da 103 punti a 102,1 mentre il secondo è sceso da 110,7 a 108,2. Nel settore manifatturiero migliorano lievemente i giudizi sugli ordini ma le attese sulla produzione restano stabili, così come la somma dei giudizi sulle scorte di magazzino. Nelle costruzioni peggiorano sia i giudizi sugli ordini che sull’occupazione e le attese produttive, mentre nei servizi peggiorano le attese sugli ordini e l’andamento generale dell’economia. Infine nel commercio migliorano i giudizi sulle vendite correnti, ma di contro peggiorano le attese sulle vendite future. I consumatori invece vedono diminuire tutte le componenti del clima di fiducia: situazione economica, occupazione e attese future. Sintetizza Sergio De Nardis, capo economista di Nomisma: «Gli indicatori di aprile segnalano nel complesso che la ripresa procede ma a ritmi contenuti».
Pieno asta Btp, tassi sù
E a conferma che la situazione è tutt’altro che stabilizzata va segnalato infine che ieri il Tesoro ha collocato 8,25 miliardi tra Btp e Ccteu, ovvero il massimo dell’offerta, ma a causa delle nuove tensioni sulla Grecia i tassi, scesi marzo ai minimi storici, sono tornati a salire: in particolare il nuovo Btp a 5 anni è salito da 0,55 a 0,65% mentre il decennale da 1,34 è andato a 1,4.
La Stampa – 30 aprile 2015