Si tratta di germogli di fagioli, ma in Italia sono noti come «germogli di soia» e usati comunemente nelle insalate. Probabile contaminazione dei semi. Secondo fonti ufficiali tedesche la causa dell’epidemia di E.coli è da individuarsi nei germogli di fagiolo “mung”. In Italia li chiamiamo comunemente, come altri, «germogli di soia», pur non essendo generati tutti dallo stesso legume. Lo ha annunciato Reinhard Burger, direttore dell’istituto Robert Koch, che si è riunito venerdì mattina a Berlino con i membri dell’Ufficio federale per la tutela dei consumatori e la sicurezza alimentare e dell’Istituto federale per la valutazione dei rischi.
L’istituto ha invece scagionato cetrioli, pomodori e lattuga. Il bilancio delle vittime dell’epidemia di E.coli venerdì è salito a 33 (32 tedeschi e una svedese): una donna di 75 anni è morta venerdì mattina in Bassa Sassonia, ha dichiarato il responsabile della Salute del Land. Mentre nel pomeriggio sono deceduti una settantenne dello Schleswig-Holstein (nord) e un uomo di 81 anni, che era stato ricoverato nella clinica universitaria di Amburgo.-Eppendorf (sempre nel settentrione). In tutto vi sono stati circa 3mila malati nel giro di cinque settimane.
VENDITA LOCALE – Determinata, almeno così pare, l’origine dell’infezione, resta da capire come mai la produzione di questi germohli sia stata contaminata. Per Alfredo Caprioli, direttore del laboratorio dell’Istituto Superiore di Sanità (centro di riferimento europeo sull’E.coli). che i germogli fossero responsabili dell’epidemia «era una cosa molto plausibile anche prima della conferma tedesca. Questo spiegherebbe perché la patologia è stata così circoscritta: essendo piantine molto delicate non sono mai vendute troppo lontano dalla zona di produzione». La loro delicatezza inoltre fa sì che «non siano coltivati in terra, ma in vaschette con acqua e sali nutrienti, e a temperature abbastanza elevate. In pratica, lo stesso metodo che utilizziamo noi in laboratorio per coltivare un batterio: è l’habitat ideale».
SEMENTI CONTAMINATE – Il batterio killer può essere venuto «dall’acqua usata per la coltivazione – dice ancora Caprioli – oppure dal seme: mi sembra più probabile la seconda ipotesi, visto che l’acqua in genere viene trattata e sterilizzata. È la pianta di origine che può contaminarsi quando è ancora in campo, e il batterio passa, in fase dormiente, al seme. Poi, una volta messo a coltura, il batterio rinasce. Quindi bisogna risalire ai semi, andare a cercare queste aziende agricole e capire da quali coltivazioni arriva il batterio, perché il germoglio non può certo far crescere il batterio autonomamente, qualcosa lo deve aver contagiato».
CHIUSA UN’AZIENDA – Nel frattempo resta chiusa l’azienda di coltivazioni biologiche, Gärtnerhof a Bienenbuttel, cittadina della Bassa Sassonia, nel nord-ovest del Paese. I germogli che avrebbero causato l’infezione sono stati prodotti qui. Tutti i suoi prodotti verranno ritirati dal commercio. Ma dal comunicato di oggi delle autorità sanitari si apprende che questa azienda non è l’unica origine dell’infezione. Sarebbe in realtà «responsabile» di metà dei casi di Escherichia Coli registrati in cinque regioni tedesche. Ciò fa capire che ci possono essere altre aziende che hanno prodotto germogli infettati dal batterio e questo rafforzerebbe l’ipotesi che all’origine della vicenda vi sia una partita di sementi contaminate. Come Caprioli, anche il presidente dell’Ordine nazionale dei biologi, Ermanno Calcatelli, è dell’idea che questa possa essere una pista da seguire: «La contaminazione potrebbe essere avvenuta nei semi venuti a contatto con acqua di fogna o con dei fertilizzanti – dice – Non bisogna dimenticare che alla base della composizione dei fertilizzanti c’è la presenza di letame e dal momento che la contaminazione è avvenuta per via oro-fecale, questa via potrebbe spiegare l’origine della contaminazione dei semi».
LA SVOLTA DAI RISTORANTI – La svolta sull’origine dell’infezione è arrivata dopo che tre istituti tedeschi hanno collegato campioni separati di pazienti contagiati in 26 ristoranti del Paese. Tutti i 26 locali avevano ricevuto prodotti dalla fattoria di Bienenbuettel. «È stato come far parte di un thriller dove bisogna trovare il cattivo», ha spiegato Helmut Tschiersky-Schoeneburg dell’agenzia per i diritti dei consumatori in Germania. «Gli istituti che hanno svolto le analisi hanno studiato anche i menu e gli ingredienti dei ristoranti», ha spiegato il capo dell’agenzia tedesca per la gestione dei rischi, Andreas Hensel. «In seguito – ha aggiunto – hanno esaminato gli scontrini e scattato fotografie dei piatti per poi mostrare tutto alle persone ammalate».
LA RUSSIA REVOCA L’EMBARGO – La Russia, intanto, revocherà il bando sulle importazioni di verdure dai paesi dell’Ue. Lo ha annunciato il presidente della Commissione europea, Josè Barroso, nella seconda giornata del summit Ue-Russia nella città di Nizhny Novgorod. Il blocco dell’import era stato deciso sull’onda dell’epidemia del batterio-killer ed era stato contestato dall’Ue.
L’azienda era «bio», ma senza controllo sulla filiera nulla è garantito
Roberto Defez, ricercatore al Cnr «L’origine dell’infezione deriva probabilmente da letame “inquinato”»
MILANO – Inizialmente tutti hanno tirato un sospiro di sollievo, quando hanno appreso che non eran stati cetrioli o qualsivoglia verdura fresca gli incubatori del famigerato batterio killer, ma quelli che in Italia chiamiamo per semplicità «germogli di soia», pur essendo in realtà germogli di fagiolo mung.
L’ESPERTO – Ma per contro si è aperto il dibattito: una delle aziende che produceva i germogli nella Bassa Sassonia, la Gärtnerhof di Bienenbuttel (chiusa venerdì d’autorità) era una di quelle imprese modello, «bio» come si dice, che avrebbe dovuto garantire più delle imprese tradizionali la qualità e soprattutto la «salute» del prodotto. Com’è potuto succedere? «Il problema è proprio quest0- spiega Roberto Defez, biotecnologo del Cnr- non basta appiccicare il bollino “bio”, per dire che è un prodotto è coltivato secondo logiche puramente naturali: a volte il solo fatto di non utilizzare fertilizzanti sintetici, ma concimi naturali, autorizza le aziende a definire le loro verdure “bio”, ma è tutta la filiera che deve essere “bio”». Nell’azienda tedesca probabilmente, continua il ricercatore è accaduto che «i semi dei germogli provenivano da altre coltivazioni che hanno utilizzato letami “inquinati” dal batterio».
ANTIBIOTICI POTENTISSIMI- Perchè succede spesso che «per nutrire gli allevamenti di bovini o suini si utilizzino spesso antibiotici potentissimi che non servono certo a guarire le bestie, ma a farle crescere più in fretta. Questi antibiotici sviluppano delle forti resistenze che hanno fatto sì che il batterio incubato negli animali sia diventato praticamente invulnerabile e di qui l’alta mortalità cui abbiamo assistito». Insomma «è fondamentale che l’agricoltura bio sia bio per davvero, che conti il prodotto e non la procedura con cui si coltivano le piante, che tutta la filiera sia controllata dalle aziende. Perchè sennò si arriva al paradosso che è un ortaggio è bio, perchè non usa fertilizzanti chimici, anche se cresce di fianco a una centrale nucleare».
Corriere.it – 10 giugno 2011