Marcia, scaduta, «truccata» per non far sentire il cattivo odore. La carne è debole in Brasile, «fraca» dicon loro, e non per le prodezze sensuali che abitano i sogni dei turisti occasionali, ma per quello che rischia di arrivare sulle tavole del mondo intero. Che sia una «picanha» di churrascaria o una bistecca di casa nostra.
Da quasi dieci giorni il gigante sudamericano combatte contro l’ennesimo scandalo di corruzione e malgoverno: stavolta ha colpito uno dei settori chiave dell’economia nazionale, quello della carne bovina e di pollame, appunto, di cui il Brasile è il maggior esportatore al mondo e l’Italia uno dei maggiori importatori.
Ventuno stabilimenti di trasformazione e tre fra le principali imprese agro-alimentari del Paese sono finite nel mirino dopo che la polizia federale ha svelato un’imponente rete di mazzette e scambio di favori: nelle loro celle frigorifere languivano quarti e tagli di bue, salsicce e pollame vario pronti a partire per i mercati dell’Asia e dell’Europa in condizioni non proprio perfette. La carne è risultata infetta, avariata, addizionata con sostanze sospette per coprirne il degrado o gonfiata con l’acqua per farla pesare di più. Gli ispettori sanitari del ministero dell’Agricoltura, che avrebbero dovuto controllarne la qualità, davano invece il via libera in cambio di pingue bustarelle.
Un colpo d’immagine durissimo e con conseguenze nefaste per i già traballanti conti economici del Paese: la Cina e una ventina di altri Stati hanno subito fermato le importazioni e fatto sparire la carne «made in Brazil» dagli scaffali dei supermercati; i produttori della pampa argentina si sono fregati le mani, sognando di rubare al potente vicino ampie fette di mercato; l’Ue ha rispedito indietro i cargo delle imprese coinvolte, che navigavano già in pieno oceano diretti verso i porti europei. «La protezione dei consumatori resta determinante», ha assicurato Vytenis Andriukaitis, commissario alla salute e alla sicurezza alimentare. L’Italia — è bene saperlo — è il principale cliente Ue dei macellatori d’oltreoceano: importa 155 dei 450 milioni di euro in carne bovina che viaggiano dal Brasile verso l’Europa.
Per recuperare la fiducia dei consumatori, in patria come all’estero, il presidente Michel Temer è corso ai ripari facendosi fotografare mentre trangugia avidamente un «rodizio» all-you-can-eat. E poi inviando una lettera all’Orga- nizzazione mondiale del Commercio e a 165 Paesi in cui sostiene che trattasi di «un problema di corruzione, non sanitario». Evidentemente, ha convinto i suoi commensali, decine di ambasciatori invitati a cena nella più famosa churrascaria di Brasilia, e pure i loro superiori. Ieri Cina, Cile ed Egitto hanno tolto l’embargo e riaperto le frontiere, Temer ha ringraziato via Twitter ricordando che la «carne brasiliana è la migliore del mondo» e che dei 2.837 frigoriferi ispezionati, «soltanto 21 sono risultati non in regola».
L’operazione di polizia «Carne Fraca» lascia, però, un retrogusto molto amaro. L’industria della carne, con il suo fatturato annuo di oltre 13 miliardi di dollari, è uno dei motori dell’economia brasiliana. Come il petrolio e le costruzioni. Non è un caso che proprio questi tre settori siano al centro dei più gravi scandali che abbiano mai colpito il Paese e che minacciano di lasciare senza lavoro migliaia di dipendenti.
C’è chi assicura che il peggio debba ancora venire. Il funzionario Daniel Gouveia Teixeira, che ha sollevato per primo il caso tre anni fa, sostiene che gli inquirenti del caso «Carne debole» hanno divulgato meno dell’1 per cento delle informazioni raccolte finora: «Lo scandalo è enorme. L’interferenza dei politici ha prodotto negli anni il licenziamento degli investigatori rigorosi, sostituiti da altri più condiscendenti». Il ministro dell’Agricoltura, Blairo Maggi, invita a non fare di tutta un’erba un fascio: «La produzione brasiliana è sana, le persone coinvolte nella rete di corruzione saranno processate». Omette, però, un dato importante: tra i 28 arrestati, ci sono diversi funzionari governativi, alcuni appartenenti al Partito del presidente Temer. Gran parte delle mazzette, trapela da fonti giudiziarie, finivano proprio nelle casse dei partiti.
Sara Gandolfi – IL Corriere della sera – 26 marzo 2017