La valutazione dei candidati, i criteri e le modalità di valutazione, i tempi per la verifica, l’iter in caso di decadenza o di mancata conferma nell’incarico. Ma anche le regole sui punteggi, sulle esperienze dirigenziali e sulla rosa dei candidati. Bocciato dalla Corte costituzionale lo scorso 25 novembre, lo schema di Dlgs frutto della legge Madia sulla scelta e la nomina dei manager della sanità pubblica, cambia volto. E non solo perché prevede quell’Intesa con le Regioni che era mancata in prima battuta. Si cambia, infatti, e non di poco: riassegnando libertà di scelta e potere ai governatori.
La marcia indietro – che fa dell’Albo niente più che una summa di “ammessi” e di relativi curricula, non più una graduatoria per punteggi di aspiranti direttori generali di asl e ospedali – è stata decretata ieri dal Consiglio dei ministri con un Dlgs correttivo e integrativo che va adesso al parere necessario per l’Intesa della Conferenza Stato-Regioni. Un parere che si annuncia positivo, dopo l’accoglimento di tutte le richieste dei governatori, sulla scorta del giudizio della Consulta, oltreché del Consiglio di Stato che proprio sull’assenza dell’Intesa (ma non solo), s’era espresso negativamente fin dal gennaio 2016. Ma inutilmente, tanto che il Governo era andato avanti ugualmente, salvo poi inciampare nella successiva sentenza della Consulta.
Ma il cambio di passo sarà importante ugualmente, ha detto ieri la ministra della Salute Beatrice Lorenzin, ricordando le regole stringenti cui saranno sottoposti, fino al rischio di decadenza, i futuri manager del Ssn. Fatto sta che le Regioni riconquistano quello che, senza il ricorso del Veneto alla Consulta, avrebbero perduto. E senza dimenticare che, come ha detto la stessa Lorenzin, sebbene l’iter del provvedimento sarà completato entro giugno, l’Albo (elenco) nazionale dei manager sarà operativo da ottobre.
Sono diverse le modifiche apportate al vecchio schema di Dlgs. Una volta individuati gli idonei all’Albo, anzitutto, la valutazione dei candidati sarà svolta dalla Commissione regionale «per titoli e colloquio» entro la procedura regionale. La nomina della Commissione regionale, inoltre, viene demandata al presidente della Regione. Cambio di passo anche su modalità e criteri della valutazione, che vengono definiti dalle Regioni, che tra i titoli, in ogni caso, dovranno considerare anche i profili del management e della direzione aziendale, inclusi i corsi di perfezionamento universitario di almeno un anno e le attribuzioni professionali. Il punteggio minimo per accedere all’Albo dovrà essere di 70 (non più 75) punti, sempre col tetto massimo di 100, attribuendo più peso (il 60%) alle esperienze dirigenziali degli ultimi sette anni, piuttosto che ai titoli formativi e professionali. Ma la “pagella” servirà soltanto per l’inserimento nell’Albo. Che sua volta, fatto significativo, recherà i nomi degli ammessi in rigido ordine alfabetico, senza alcuna indicazione del punteggio conseguito. Mentre la Regione potrà scegliere ulteriori «modalità e criteri di selezione» per individuare il candidato più idoneo all’incarico da assegnare.
Non solo. Le Regioni potranno effettuare la valutazione «per titoli o colloquio, o per titoli o per colloquio», si legge con tipico bizantinismo. In soldoni: faranno come gli pare. Liberi di scegliere a loro piacimento «modalità e criteri di selezione». La stessa rosa dei candidati che sarà proposta dalla Commissione alla Regione non sarà più rigorosamente di 3 candidati, ma «non inferiore a 3 e non superiore a 5». È il titolo V, signori, e Renzi lo aveva dimenticato.
Roberto Turno – Il Sole 24 Ore – 25 marzo 2017