È corsa contro il tempo per decidere come svuotare le cisterne di acidi e altre sostanze chimiche altamente pericolose della ditta chimica Miteni, dichiarata fallita lo scorso venerdì, ma, in realtà, sorvegliata speciale da più di quattro anni. L’azienda è la principale imputata nel caso della maxi contaminazione da Pfas che ha pesantemente colpito il Vicentino, Padovano e Veronese.
TAVOLO UNICO. Cosa succederà ora? Sul tavolo c’è un piano di svuotamento che è stato depositato dalla Miteni qualche giorno prima della sentenza. Un piano che era stato concepito quando l’azienda era in aria di concordato: doveva servire per mettere in sicurezza il sito, vale a dire svuotarlo per effettuare gli interventi nei punti critici indicati dalle diffide della Provincia di Vicenza, per poi ripartire. Ora, a distanza di appena qualche settimana, lo scenario è cambiato. Venerdì scorso, qualche ora dopo la sentenza del tribunale fallimentare, il curatore, Domenico De Rosa, ha effettuato un sopralluogo insieme ai tecnici di Provincia, Arpav, Regione, Spisal e vigili del fuoco per capire il da farsi. Sono state chieste alla ditta delle integrazioni al documento. È stato poi stabilito che sarà la Prefettura a coordinare i passaggi futuri e il tavolo tecnico formato, appunto, da tutti gli enti coinvolti. Lì sarà deciso come e quando procedere allo svuotamento delle cisterne: un procedimento che ora, alla luce di quanto stabilito dal tribunale, diventa una messa in sicurezza non più solo ambientale, ma anche industriale. Al momento sono i dipendenti della Miteni a gestire la sicurezza e a mantenere in stand by gli impianti. Spegnere tutto, schiacciando un bottone, in uno stabilimento che rientra nella legge Seveso, che usa cioè materie tossiche, non è possibile. Le Rsu dell’azienda, insieme ai sindacati Cgil, Cisl e Uil, la scorsa settimana avevano chiesto di essere coinvolti nella fase della definizione del piano di svuotamento, quindi di sedere al tavolo unico, per indicare i punti essenziali che, a loro dire, vanno ripristinati per poter far attivare i reattori. Vedremo se sarà così. Il tavolo unico si riunirà venerdì.
STIPENDI. È di ieri, poi, l’ennesima brutta notizia per i 121 dipendenti di Miteni. Lo stipendio non si è visto. O meglio, stando ai vertici aziendali, prima di venerdì i bonifici della paga di ottobre erano stati regolarmente effettuati. Ma nei conti correnti dei lavoratori i soldi non sono entrati. Sarebbero state le banche, ad una prima ricostruzione, a bloccarne l’erogazione a fronte della sentenza di fallimento. In cassa, a quanto definito nel report del commissario De Rosa consegnato ai giudici del tribunale il giorno precedente alla sentenza, ci sarebbero 750 mila euro. «Siamo ostaggi della situazione – denunciano gli operai -. Siamo in fabbrica e facciamo i turni perché dobbiamo mantenere il livello di sicurezza in una fase di non lavorazione. Siamo contaminati. E ora pure senza i soldi che ci spettano». La rabbia e la frustrazione, insomma, sale. Della situazione è stato subito avvertito De Rosa che stamattina depositerà in tribunale una istanza di esecuzione dei pagamenti. Spetterà al giudice avviare o meno l’esercizio provvisorio. Poi si dovrà decidere come procedere con lo svuotamento: con i lavoratori per completare le reazioni e realizzare qualcosa dalla vendita dei prodotti; o pagando una ditta e trattando come rifiuto quelle sostanze. In ogni caso, la situazione dovrà essere risolta a breve vista la pericolosità delle sostanze. Intanto le Rsu stanno pensando di costituire il Comitato dei lavoratori di Miteni per poter fare massa critica e tutelarsi anche dal punto di vista sanitario. (Cristina Giacomuzzo)
IL GIORNALE DI VICENZA – Martedì, 13 novembre 2018