Coldiretti: in Europa crolla la produzione di mais. Prezzi in crescita anche per il grano tenero. Crollo del raccolto del cereale che viene utilizzato per alimentare gli animali
ROMA. L’estate bollente potrebbe riservare un’ulteriore sorpresa, non gradita: l’aumento dei prezzi dei beni alimentari di prima necessità, spinti da raccolti al di sotto delle previsioni delle principali materie prime, a cominciare da mais e grano. A lanciare l’allarme inflazione è la Coldiretti che segnala come il caldo record che soffoca l’Europa abbia infiammato anche i mercati. Il dato più preoccupante segnalato dall’associazione dei coltivatori diretti è il crollo del 13% del raccolto comunitario di mais destinato all’alimentazione degli animali per produrre latte e carne (e dei relativi derivati: formaggi e salumi). L’analisi della Coldiretti evidenzia che i prezzi del cereale hanno raggiunto un nuovo record a 8,3 dollari per bushel (pari a circa 27,2 chili di mais) al Chicago Board of Trade, punto di riferimento del commercio internazionale.
A spingere le quotazioni verso l’alto, sottolinea l’associazione, è stato l’arrivo di “Lucifero” in Europa con il ridimensionamento ulteriore dei raccolti, con una produzione stimata di 58,1 milioni di tonnellate di mais per effetto soprattutto dell’andamento stagionale sfavorevole in Italia, Ungheria e Romania, trai principali produttori del cereale nell’Ue. La riduzione dei raccolti in Europa – continua la Coldiretti – ha effetti sulla produzione mondiale stimata in calo a 829.1 milioni di tonnellate anche a causa di ulteriori crolli nella produzione mondiale determinati dalla siccità nelle campagne degli Stati Uniti, dei Balcani in Ucraina e in Russia, nella zona del Mar Nero, interessata da alluvioni.
L’allarme cibo rischia di aggravare la crisi in Italia che importa 1’80% della soia, circa il 20% del mais e quasi la metà del grano che consuma. Proprio per questo, spiega l’associazione, è stata convocata con urgenza per il 27 agosto una conference call tra i Paesi membri del G20. Per quanto riguarda il grano, però, bisogna fare una precisazione: quello duro, che viene utilizzato per fare la pasta, registra un prezzo in discesa rispetto all’anno scorso. A restare su livelli elevati, invece, è il grano tenero, che viene utilizzato per fare il pane e che viaggia su livelli elevati, intorno ai 9 dollari per bushel (pari a 25,4 chili di grano). Secondo Coldiretti, però, un aumento del grano tenero non giustificherebbe una crescita del prezzo di pagnotte o sfilatini per l’incidenza irrisoria della materia prima sul costo totale. Per fare un chilo di pane – che nel nostro Paese, in media, costa 2,8 euro – ci vuole, infatti, un chilo di grano che costa26 centesimi. Il ricarico tra la materia primae il prodotto finito è, quindi, di circa il 1.000%, e un aumento del grano anche di uno o due centesimi al chilo non inciderebbe che in maniera irrilevante. C’è, però, il rischio, fa sapere l’associazione dei coltivatori diretti, che qualcuno – come già successo in passato – prenda l’aumento delle materie prime come scusa per promuovere aumenti del pane.
Ma è allarme vero, invece, per il commercio internazionale con il rischio di mancata consegna delle forniture che potrebbe determinare effetti drammatici sul piano della disponibilità di cibo nei paesi poveri, mettendo in pericolo la sicurezza sociale in paesi come la Libia o l’Egitto che sono forti importatori di grano e che potrebbero vedere il ritorno della guerra del pane.
Il Mattino – 22 agosto 2012