Un lavoratore della sanità su 5 è «inidoneo». L’11,8% del personale del Ssn, ovvero circa 82.600 lavoratori sui 700.000 impiegati sono infatti caratterizzati da limitazioni alla mansione e inidoneità totali, parziali, permanenti o temporanee riconosciute nell’ultimo decennio. Il problema colpisce soprattutto le donne. E questo non può non incidere sul buon funzionamento del Sistema sanitario nazionale. Il problema è stato approfondito nell’analisi «Le inidoneità e le limitazioni lavorative del personale Ssn» (a cura di Carlo De Pietro, Guglielmo Pacileo, Agnese Pirazzoli e Marco Sartirana del Cergas Bocconi), presentata oggi in Università. «Considerando che l’analisi non poteva andare più indietro nel tempo per la difficile reperibilità della documentazione – afferma De Pietro – e che, anche nell’ambito del periodo considerato, si è persa traccia di molte limitazioni registrate nei primi anni, l’effettiva incidenza delle inidoneità è più alta. Dire che il fenomeno interessa un lavoratore su cinque può essere considerata una stima prudenziale».
La rilevanza del fenomeno va di pari passo con l’invecchiamento, soprattutto in assenza di un adeguato tunrover. Il numero dei dipendenti inidonei aumenta in modo significativo al crescere dell’età e i dipendenti del Ssn, come è noto, stanno invecchiando rapidamente. Gli inidonei sono meno del 4% nella fascia di età tra i 25 e i 29 anni, ma il 24% tra i 60 e i 64. L’età media dei dipendenti si approssima ormai ai 50 anni e aumenta al ritmo di un anno ogni 24 mesi. «Così, se gli ultimi dati disponibili, che risalgono alla fine del 2011, attestano un’età media di 47,3 anni – si chiedono i curatori della ricerca – è lecito attendersi che oggi sia di un paio di anni più alta e che continui a crescere».
Le inidoneità si concentrano soprattutto nei ruoli operativi di tipo socio-assistenziale
Gli inidonei tra gli Oss (Operatori socio-sanitari) e Ota (Operatori tecnici dell’assistenza) sono addirittura il 24,1% e quelli tra chi svolge professioni infermieristiche e ostetriche il 15,1%. La maggioranza delle limitazioni (62,1%) riguarda la movimentazione di carichi e pazienti o le posture incongrue e finisce per pregiudicare soprattutto l’operatività dei reparti. Le inidoneità sono più diffuse tra le donne che tra gli uomini: il 79,6% dei dipendenti con limitazioni è di sesso femminile e il 20,4% maschile, anche a causa dell’alta femminilizzazione di molti profili professionali della sanità. In tutte le fasce di età la percentuale di donne con limitazioni è nettamente superiore a quella degli uomini, fino ad arrivare, per i lavoratori tra i 60 e i 64 anni, al 31,8% per le femmine, contro il 15,8% dei maschi.
Un’analisi approfondita del fenomeno in nove aziende sanitarie, che impiegano oltre 28.000 dipendenti, ha spinto il gruppo di lavoro del Cergas ad avanzare alcuni suggerimenti di policy e di gestione per attenuare gli effetti del fenomeno. «In primo luogo – continua ancora De Pietro – le aziende devono poter percepire la portata del problema, attraverso la raccolta di informazioni codificate e fruibili. Invece, per condurre la nostra ricerca, abbiamo dovuto crearci una tassonomia e confrontare informazioni registrate su ogni tipo di supporto – spesso solo cartaceo».
In secondo luogo i medici competenti, che devono valutare le inidoneità, dovrebbero essere messi in condizione di sviluppare una comunità professionale che renda più omogenei attività e metri di giudizio.
Il terzo suggerimento è di promuovere un ruolo più attivo delle aziende nella gestione delle limitazioni attraverso, per esempio, sistemi di ascolto professionale e strutturato, il coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e la definizione di regole di gestione del personale che considerino esplicitamente l’età.
L’ultimo, ma probabilmente più decisivo suggerimento, è il cambiamento di alcune regole di sistema, con un riordino della normativa sul tema che renda possibili i cambiamenti di qualifica.
Il Sole 24 Ore – 10 dicembre 2015