Cgia, a Mason l’eredità di Bortolussi. L’ex manager Usl eletto segretario degli artigiani di Mestre: «Lavoro di squadra, ma la difesa a oltranza della piccola impresa non va annacquata»
«Non me l’aspettavo perché sono in pensione e fuori dal sistema da un po’ di tempo. Ma sono ben felice di farlo. Con Bepi Bortolussi c’è stata sempre una grandissima lealtà». Le prime parole di Renato Mason, dall’altra sera nuovo segretario della Cgia di Mestre, vanno al suo predecessore, scomparso il 4 luglio a 67 anni, dopo aver dedicato gli ultimi due decenni a strutturare l’organizzazione artigiana e a farle assumere un’evidenza nazionale grazie, soprattutto, ai report settimanali del centro studi da lui fondato e fatto crescere.
«Bisogna riconoscerlo, una certa forma di ‘invidia’, se mi si permette il termine, da parte delle altre strutture associative artigiane c’era. Al di fuori si apprezzava quello che faceva la Cgia di Mestre, in Veneto si diceva ‘chi sono questi qua che fanno di tutto per farsi vedere?’». Mason queste cose le sa bene, visto che dal 1998 al 2007 è stato segretario regionale della Confartigianato del Veneto. In effetti va anche precisato che, formalmente, quella mestrina non è più di una sigla mandamentale: «Il mondo associativo è fatto così: è pieno di persone che guardano il dito e non la luna. Tanta gente prigioniera di gerarchie istituzionali piuttosto che mossa dall’impulso di valorizzare chi abbia qualcosa di importante da dire. Se qualcuno mi invita a esprimere un mio punto di vista perché devo sentirmi obiettare che non ho titolo per farlo, che nella scaletta delle cariche tocca ad altri prima che a me?»
Il ragionamento è analogo per il Centro Studi. «All’inizio sentivo dire che questa funzione doveva metterla in piedi solo la federazione. Infatti ci hanno provato ma è andata avanti pochi anni. Io penso che di organi di ricerca ce ne dovrebbero essere il più possibile, magari in concorrenza. Questo lo dicevo anche quando ero segretario della Confartigianato regionale».
Nato a Loreggia, nel Padovano, nel 1951 ma residente a Castelfranco, già vicesegretario della Confartigianato di Treviso, dal 1979 al 1985, quindi, fino al 1998, segretario dell’Unione provinciale di Venezia e, fra 2008 e 2012 direttore generale della Unità sanitaria locale 8 di Asolo, il successore di Bortolussi vuole rinsaldare i rapporti con chiunque difenda gli interessi della Piccola impresa. «In Veneto abbiamo una rete importante di queste strutture che non va banalizzata ma, al contrario, mantenuta reattiva e vitale. La Cgia di Mestre deve conservare gli ampi margini di autonomia che si è sempre coltivata ma ora più che mai il lavoro di squadra è fondamentale. Il 98% delle realtà imprenditoriali venete, per dimensione, si riconoscono nelle nostre associazioni; ma dobbiamo riconoscere che continuano a essere sottorappresentate».
Eletto dal consiglio dopo un passaggio in giunta, in un percorso non durato più di 10 giorni, qualche idea da mettere in campo a partire da lunedì Mason ce l’ha. «Per cominciare devo chiedere a Paolo Zabeo, il responsabile del centro studi, di cominciare a prepararsi a fare il vice-segretario. La Cgia ha altri servizi, occorre avere una visione più globale della macchina. Se posso aggiungere, mi piacerebbe anche che le nostre ricerche avessero un’attenzione ancora maggiore ai temi veneti». Ma l’impegno che sta in testa alle priorità di Mason è di una «continua verifica che alle rappresentazioni che si è soliti fare delle Pmi corrispondano scelte politiche ed istituzionali di gestione delle risorse pubbliche coerenti. Troppe volte sentiamo bei discorsi e ottime analisi di cui poi ci dimentichiamo.Nessuno va più a vedere se i decisori pubblici, e intendo soprattutto Regione e Stato, agiscono in armonia con quanto dichiarano. La vera eredità che ci ha lasciato Bortolussi, al di là della sua inclinazione alla dimensione pubblica, è nella difesa a oltranza della piccola impresa veneta. Bepi , con cui mi sono anche scontrato parecchie volte ma sempre con grande schiettezza e correttezza, è stato il primo a denunciare, ad esempio, il doppio criterio di comportamento del fisco a seconda che si trattasse di indagare su grandi società nazionali o sui piccoli laboratori e gli scontrini dei bar. Questa impostazione non va annacquata».
Gianni Favero – Il Corriere del Veneto – 4 ottobre 2015