Federalismo monco, per ora la riforma ha portato solo nuove imposte. Due notizie s’intrecciano nello scenario economico del Veneto e non c’è verso che ce ne sia una di positiva.
La prima botta arriva da uno studio della Cgia, la Confederazione artigiani di Mestre, a proposito degli effetti perversi della riforma federalista «monca» sulla spesa pubblica e le tasse locali. Il risultato statistico è desolante: negli ultimi 15 anni, il decentramento dei poteri accompagnato dalla possibilità di applicare addizionali e altre imposte territoriali, ha prodotto un’autentica esplosione del prelievo fiscale locale: più 204%.
La seconda botta, che ha provocato anche la veemente reazione del governatore Luca Zaia, attiene invece alla declinante competitività delle regioni italiane: nella graduatoria stilata dalla Commissione Europea, non c’è un solo nome italiano – non si dice il Veneto, neppure la grande Lombardia – entro le prime cento posizioni.
Ripartiamo dalle tasse. Il «federalismo all’italiana», come lo definisce la Cgia, ha prodotto un mostro fiscale. L’introduzione nel corso degli anni dell’imposta sugli immobili (Ici e poi Imu), dell’Irap e delle vari addizionali comunali e regionali è sì servita a coprire le maggiori competenze che sono state via via trasferite dallo Stato centrale ai livelli di governo locale (si pensi per tutte alla sanità, della cui gestione sono responsabili le Regioni), ma ha anche provocato un’esplosione della tassazione locale. Senza che, oltretutto, la spesa pubblica complessiva sia diminuita, anzi, è cresciuta del 68%. Come uscirne? «È del tutto evidente – commenta Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia e consigliere regionale – che qualcosa non ha funzionato. Bisogna completare il lavoro in materia di federalismo fiscale, cioè definire al più presto i costi standard nella sanità e quelli degli Enti locali. Solo così, responsabilizzando i presidenti di Regione e gli amministratori locali – aggiunge Bortolussi – si metterà in moto un processo virtuoso capace di tagliare gli sprechi e, di conseguenza, abbassare anche le tasse».
Secondo capitolo doloroso, lo sprofondante indice di competitività dei territori italiani all’interno dello scenario europeo. Anche la Lombardia, che tradizionalmente compariva nella dorsale delle regioni più competitive digradante dalla «grande Londra» al Mediterraneo, via Olanda e Baviera, è scivolata al posto 128 della graduatoria. Nella lettura del governatore leghista Zaia, questa seconda brutta notizia si lega in qualche modo alla prima. Perché, se la competitività italiana è sprofondata al cospetto dei competitori europei, le cause sono ben evidenti: «Le tasse troppo alte e la burocrazia troppo invadente».
Argomenta il presidente della Regione: «Qualcuno mi spieghi come potremmo e potremo essere competitivi con una tassazione complessiva sulle imprese che arriva al 68,6%, e con centinaia di adempimenti burocratici che gravano quotidianamente sui nostri artigiani, commercianti e imprenditori. Di questo passo – profetizza Zaia – andremo a schiantarci contro un muro di deindustrializzazione e di disoccupazione, la cui colpa va fatta ricadere unicamente su governi centrali che continuano a traccheggiare senza impegnarsi in provvedimenti concreti e immediati».
Quali provvedimenti servano, secondo il governatore, è fin troppo chiaro: «Tassazione unica intorno alla media del 46%; riduzione del cuneo fiscale e previdenziale sulle buste paga; introduzione immediata dei costi standard in sanità e in tutta la pubblica amministrazione». Vedi il caso: la stessa conclusione, almeno per l’ultima parte, a cui era arrivato Bortolussi della Cgia.
Il Corriere del Veneto – 25 agosto 2013