Quando tra Stati Uniti ed Europa si parla di organismi geneticamente modificati (ogm) si delineano due mondi completamente diversi per cultura e tradizione. Mentre da noi esiste un quadro giuridico specifico che regola gli ogm, sia per il cibo e i mangimi, sia per la coltivazione in campo, negli Stati Uniti gli ogm vengono considerati equivalenti agli alimenti e alle sementi convenzionali.
La Food and Drug Administration (FDA) li ha riconosciuti come generalmente sicuri e quindi non esiste un quadro giuridico con regole specifiche.
Lo studio del Parlamento europeo Legal implications of the EU-US trade and investment partnership (TTIP) for the Acquis Communautaire and the ENVI relevant sectors that could be addressed during negotiations, precisa che il principio di precauzione svolge un ruolo importante nella gestione del rischio, e gli ogm sono oggetto di una procedura di autorizzazione preventiva, che prevede la presentazione da parte del richiedente, di un’ampia valutazione del rischio, compreso quello ambientale, e una consultazione pubblica obbligatoria. In Europa la durata dell’eventuale autorizzazione ha una durata di dieci anni, dopo deve essere rinnovata. C’è di più la direttiva 2015/412, approvata pochi giorni (11 marzo 2015), consente ai singoli Stati di limitare o vietare sul proprio territorio, o su una parte di esso, la coltivazione di ogm autorizzati. Questa decisione può essere adottata per vari motivi: politica ambientale, pianificazione urbana e territoriale, uso del suolo, impatti socio-economici, esigenza di evitare la presenza di ogm in altri prodotti, o altre ragioni di politica agricola.
Negli Stati Uniti le cose vanno diversamente per cui gli ogm non devono essere preventivamente autorizzati, e i produttori sono responsabili della sicurezza. Inoltre, non esiste un piano di monitoraggio sui possibili effetti nel lungo termine e ogni procedura di consultazione risulta volontaria. Un’altra differenza riguarda la presenza in Europa di un registro pubblico degli ogm autorizzati, mentre negli Usa non c’è nulla di simile. Sul fronte dell’informazione e della trasparenza nei confronti dei consumatori le diversità sono sostanziali. Da noi è obbligatoria l’etichettatura dei prodotti alimentari che li contengono in quantità superiore allo 0,9% rispetto al peso totale, negli Stati Uniti l’etichettatura è volontaria e pochissimi riportano la dicitura sulla confezione.
Sebbene la Commissione europea abbia dichiarato che il Trattato commerciale di libero scambio tra Stati Uniti e Unione europea (Transatlantic Trade and Investment Partnership – TTIP), in corso di negoziazione, non modificherà le norme esistenti in materia di ogm, i timori per il futuro sono diffusi e non privi di fondamento. È infatti difficile capire quale potrebbe essere il compromesso con gli USA per liberalizzare la commercializzazione di cibi ogm nel vecchio continente. Attualmente l’Europa e anche l’Italia importa grosse quantità di soia e mais ogm che viene destinata esclusivamente all’alimentazione degli animali da reddito, mentre praticamente non esistono in commercio prodotti con ingredienti ogm.
Durante la conferenza stampa tenuta al termine dell’ultima tornata di negoziati sul TTIP, all’inizio di febbraio, il negoziatore statunitense, Dan Mullaney, ha detto che “se l’Unione europea ha un processo scientifico per le biotecnologie, questo deve essere seguito”, aggiungendo che “le decisioni in materia di sicurezza alimentare dovrebbero essere basate sulla scienza e la valutazione d’impatto”. Questa dichiarazione lascia intendere che, secondo gli americani, quando l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) dà un parere scientifico favorevole alla commercializzazione di un ogm, la Commissione Ue non deve frapporre degli ostacoli e anche i singoli Stati non devono poter vietare la coltivazione sul proprio territorio. Si tratta di una posizione molto grave e inaccettabile, perché vuol dire che la sovranità europea e anche quella dei singoli stati verrebbe messa in secondo piano, rispetto alla possibilità di commercializzare alimenti ogm importati dagli States.
Uno studio del Parlamento europeo,realizzato dalla Direzione generale delle politiche interne su richiesta della Commissione agricoltura, intitolato Risks And Opportunities for the EU Agri-Food Sector in a Possible EU-US Trade Agreement analizza i rischi e le opportunità del TTIP nel settore agro-alimentare. Il dossier sostiene che “se il commercio fosse liberalizzato senza una convergenza normativa, i produttori europei potrebbero subire gli effetti negativi della concorrenza in alcuni settori. Rispetto alle loro controparti statunitensi, i produttori europei potrebbero essere svantaggiati dai costi addizionali legati al rispetto delle normative europee. Questo è particolarmente rilevante per quanto riguarda i vincoli dell’Ue in merito all’uso degli ogm, dei pesticidi e alle misure di sicurezza alimentare nel settore della carne”. Il documento prosegue osservando che, “se la convergenza normativa dovesse livellare il terreno di gioco, ci sarebbe il rischio di un’armonizzazione verso il basso. Sebbene le conseguenze in termini di sicurezza alimentare e di protezione dei consumatori non debbano essere sopravvalutate, questo potrebbe portare a importanti cambiamenti nella legislazione dell’Unione europea, che possono minare la politica di precauzione e di gestione del rischio dell’Ue, su cui si basa l’attuale quadro normativo”.
Il documento entra nello specifico osservando che “nei negoziati relativi al TTIP, una facilitazione nell’approvazione e nel commercio degli ogm è un’importante richiesta dei coltivatori e delle imprese statunitensi. Essi sono sostenuti dalle autorità Usa, che lamentano la lentezza e le poche autorizzazioni alla vendita e al commercio di organismi geneticamente modificati nell’Unione europea. Il governo degli Stati Uniti vorrebbe anche una soglia di tolleranza più alta per le tracce di ingredienti geneticamente modificati nel cibo e nei mangimi. Il governo Usa, inoltre, ritiene che l’etichettatura obbligatoria degli ogm discrimini ingiustamente questi prodotti”. Secondo lo studio gli ultimi sviluppi indicano un possibile terreno di convergenza. Mentre gli Stati Uniti hanno sempre rifiutato di inserire negli accordi commerciali l’etichettatura degli ogm, l’industria statunitense della soia recentemente si è dimostrata disponibile a un’apertura, a patto che l’Unione europea cambi le regole. Al posto dell’indicazione obbligatoria in etichetta degli ogm presenti nel cibo confezionato, basterebbe indicare l’assenza di ogm in quelli che non li contengono. Il documento conclude evidenziando difficoltà di convergenza su questo tema, perché, se la regolamentazione europea venisse annacquata, ciò potrebbe provocare una reazione in Europa.
Negli Usa, l’etichettatura degli ogm èoggetto di un acceso dibattito, sia a livello nazionale sia nei singoli Stati. Il Vermont è l’unico ad aver legiferato in materia, stabilendo che dal 1° luglio 2016 gli alimenti contenenti ingredienti geneticamente modificati, in quantità superiore allo 0,9% rispetto al peso del prodotto, dovranno indicarne la presenza nell’etichetta e non potranno definirsi “naturali”. Una coalizione di produttori e distributori alimentari ha chiesto al tribunale di dichiarare l’illegittimità di questa norma. Anche il Connecticut e il Maine hanno approvato leggi analoghe, subordinando però l’entrata in vigore al fatto che altri Stati vicini facciano altrettanto
Il Fatto alimentare – 20 marzo 2015