La Direttiva Ue che equipara gli allevamenti alle fabbriche, se applicata, avrà ricadute devastanti sul patrimonio zootecnico regionale che rappresenta 2 miliardi di euro pari al 36% del fatturato agroalimentare totale. Per questo anche gli agricoltori veneti dicono NO ad un provvedimento che “ammazza le stalle italiane”. Coldiretti si schiera a difesa un comparto regionale identitario con razze pregiate, recuperate dall’estinzione soprattutto dalle nuove generazioni che investono in misure sostenibili per ridurre l’impatto ambientale. Gli allevatori – spiega Coldiretti Veneto – hanno messo in campo sforzi importanti adottando forme di alimentazione controllata, disciplinari restrittivi, sistemi di rintracciabilità elettronica e forme di vendita diretta attraverso le fattorie e i mercati di Campagna Amica. L’appello, raccolto in una lettera aperta promossa dalla Coldiretti e firmata dalle principali organizzazioni agricole europee ai Ministri, è stato lanciato in vista della discussione al Consiglio Ambiente dell’UE di domani, 16 marzo, sulla proposta della Commissione di revisione della Direttiva sulle emissioni industriali (IED). Le organizzazioni agricole firmatarie oltre all’ Italia (Coldiretti), sono di Belgio (FWA), Repubblica Ceca (AKCR e ZSCR), Germania (DBV), Francia (FNSEA), Polonia (FBZPR), Portogallo (CAP), Slovacchia (SPPK) e Spagna (Asaja), ritengono la formulazione della proposta del tutto inadeguata e inaccettabile rispetto alla realtà produttiva europea. A rischio c’è un comparto identitario – continua Coldiretti Veneto – con razze pregiate e recuperate dall’estinzione soprattutto dalle nuove generazioni che investono in misure sostenibili per ridurre l’impatto ambientale. Gli allevatori – spiega Coldiretti Veneto – hanno messo in campo sforzi importanti adottando forme di alimentazione controllata, disciplinari restrittivi, sistemi di rintracciabilità elettronica e forme di vendita diretta attraverso le fattorie e i mercati di Campagna Amica.
Se non adeguatamente contrastata, questa proposta – scrivono le Organizzazioni – potrebbe portare a una dirompente riduzione dei redditi dei nostri allevatori o, potenzialmente, alla chiusura di molti allevamenti di dimensioni medio-piccole, minando la sovranità alimentare, con il conseguente aumento della dipendenza dalle importazioni di prodotti animali da Paesi terzi, che hanno standard ambientali, di sicurezza alimentare e di benessere animale molto più bassi di quelli imposti agli allevatori dell’UE. Ciò andrebbe contro i recenti sviluppi politici dell’UE in materia di reciprocità nel commercio internazionale, aumentando il divario tra la stessa UE e i partner commerciali. Infatti, equiparare gli allevamenti, anche di piccole/medie dimensioni, alle attività industriali, appare ingiusto e fuorviante rispetto al ruolo che essi svolgono nell’equilibrio ambientale e nella sicurezza alimentare in Europa. Soprattutto, è il risultato di una valutazione d’impatto basata su dati imprecisi e vecchi, e di un approccio ideologico che va stigmatizzato, anche perché potrebbe avere impatti negativi sull’ambiente, riducendo le aree a pascolo (perdita di biodiversità e paesaggi, minaccia alla vitalità delle aree rurali, ecc.).
L’unica opzione possibile è quella di mantenere l’attuale quadro normativo con l’eliminazione del settore bovino dallo scopo della direttiva e il ripristino delle attuali soglie stabilite per il settore avicolo (a partire da 40.000 capi) e suinicolo (suini da produzione di peso superiore a 30 kg: a partire da 2.000 capi; scrofe: a partire da 750 capi). Questa soluzione andrebbe a riconoscere gli sforzi che gli allevatori stanno compiendo per aumentare la sostenibilità delle loro aziende che, su scala globale, sono già quelle che registrano le migliori performance in termini di impatto ambientale e mitigazione dei cambiamenti climatici. I progressi raggiunti non devono essere vanificati e fermati. Infine, riteniamo che accelerare il processo verso una posizione comune in Consiglio non sia coerente con le tempistiche che stanno emergendo nelle discussioni interne al Parlamento europeo.