di Attilio Barbieri. Sulla Nato economica si è scritto parecchio. Non in Italia, dove il Ttip, acronimo impronunciabile che sta per Transatlantic trade and investment partnership – Trattato transatlantico su commercio e investimenti – è balzato all’onore delle cronache quest’autunno per restarvi non più di due settimane. Giusto il tempo per capire che i negoziatori Usa e Ue stavano trattando in segreto e che, sotto la pressione di media e gruppi di cittadini, il testo di partenza è stato desecretato. Ecco la mia ricostruzione.
Poi il silenzio. Novità sostanziali, in realtà, non ce ne sono. Tranne il tentativo di lobby più o meno potenti di accreditare la convinzione che con la Nato economica la nostra econimia potrebbe ripartire, beneficiando di un presunto boom degli scambi commerciali e delle esportazioni. Di simulazioni su cosa potrebbe accadere con il Ttip ne girano parecchie, Mi sono imbattuto in un’accurata ricostruzione di fonte americana, curata da Jeronim Capaldo, della Tuft University di Medford, Massachusetts.
Il documento (scaricabile qui), pubblicato lo scorso mese di ottobre, è molto approfondito e spiega innanzitutto la contrarietà della Merkel. In sostanza, per l’Europa, la Nato economioca significherebbe una riduzione del Pil, delle esportazioni e delle entrate fiscali. Ma soprattutto un aumento dei disoccupati. «Il Ttip», scrive Capaldo, «causerebbe una perdita di reddito da lavoro variabile da 3.400 euro procapite annuali in Germania a 5.500 in Francia».Ma quel che è peggio, continua, «si registrerebbe una riduzione netta dell’occupazione. Secondo i miei calcoli, l’Unione europea perderebbe circa 600.000 posti di lavoro. I paesi nordeuropei sarebbero i più colpiti con una perdita di 223.000 posti di lavoro, seguiti da Germania (-134.000), Francia (-130.000) ed Europa meridionale (-90.000)».
Semmai il ricercatore della Tuft University sottovaluta l’impatto che il Trattato transatlantico avrebbe sull’Italia per la quale prevede appena 3mila nuovi disoccupati. Dimenticando, evidentemente, che la concorrenza sleale delle imitazioni made in Usa di formaggi e prosciutti Dop e Igp della nostra tradizione alimentare rischia di mettere in crisi intere filiere, come quelle del latte e della carne. Con effetti ben più dannosi rispetto a quelli immaginati.
Il no della Germania che per ora ha di fatto congelato trattative, dovrebbe indurci per lo meno a sospettare che ci sia la fregatura. E anche grossa. Cosa si in gioco lo ha chiarito il ministro dell’Agricoltura tedesco Christian Schmidt: «Se vogliamo utilizzare la possibilità del libero scambio con l’immenso mercato statunitense non possiamo più tutelare ogni wurstel e ogni tipo di formaggio». Dobbiamo cioè accettare i tarocchi in arrivo dagli States.
Se una cosa dovremmo aver capito dalla crisi è che la Merkel e in genere i tedeschi non sono disposti a rinunciare a nulla in termini di ricchezza individuale e collettiva. Se Berlino dice «no» alla Nato economica, un motivo ci dovrà pur essere. E probabilmente si può riassumere nella tabella compilata da Jeronim Capaldo che pubblico in questo post.
Ttip, valanga di proteste su meccanismo risoluzione controversie minaccia accordo
Dopo l’analisi dei risultati della consultazione sull’Isds la Commissione è costretta a constatare che c’è “un notevole scetticismo” e prende tempo promettendo di dialogare con la società civile
Non si tratta semplicemente di un considerevole numero di pareri contrari: quello che ha sommerso la Commissione europea è un vero tsunami di risposte negative, dubbi e obiezioni. Un anno fa l’esecutivo comunitario ha lanciato una consultazione pubblica sull’aspetto più controverso del già discusso accordo commerciale tra Usa e Stati Uniti: il cosiddetto Isds (Investor-State Dispute Settlement), ovvero il meccanismo di risoluzione delle controversie tra investitori stranieri e Stato. Ebbene ora la risposta è arrivata. Anzi, di risposte ne sono arrivate ben 150 mila, oltre cento volte quelle mai arrivate in qualsiasi precedente consultazione in ambito commerciale. E di queste oltre il 97% esprimeva parere negativo.
“Dalla consultazione emerge chiaramente un notevole scetticismo nei confronti dello strumento Isds”, ammette la Commissaria Ue al Commercio, Cecilia Malmström, secondo cui a questo punto occorre “intavolare una discussione aperta e franca sulla protezione degli investimenti e sull’Isds nell’ambito del Ttip con i governi Ue, con il Parlamento europeo e con la società civile prima di varare qualsiasi raccomandazione politica in questo ambito”. Insomma, con questa consultazione “si è chiarito che la decisione finale se includere o meno l’Isds deve essere adottata nella fase finale dei negoziati”, chiarisce la Commissione.
Un ostacolo da non sottovalutare visto che nono solo gli Stati membri all’unanimità hanno chiesto di inserire l’Isds nel trattato ma anche gli Stati Uniti lo hanno sempre indicato come un elemento centrale per la partnership transatlantica. “Gli Stati Uniti hanno dichiarato che per loro è importante, quindi la questione esiste”, ammette Malmstrom, “ma come affrontarla lo vedremo nei prossimi mesi”. Non c’è una data precisa in cui presentare la proposta ma “verso la primavera si vedrà come procedere”, sottolinea Malmstrom. Certo è che il traguardo di concludere l’accordo entro l’anno, più volte indicato dalla Commissione, potrebbe allontanarsi.
A sollevare la contrarietà contro il meccanismo internazionale di risoluzione delle controversie è il fatto che, se questo fosse attuato, una multinazionale o una qualsiasi società che investe in un Paese avrebbe la facoltà di sfidare il governo nazionale di quel Paese attraverso il ricorso a procedure di arbitrato internazionale, scavalcando di fatto l’ordinario sistema giudiziario. Secondo i critici potrebbe essere quindi usato per aggirare le salvaguardie nazionali su temi come salute, alimentazione, ambiente. L’opposizione, mostrano le risposte, è particolarmente forte in Paesi decisamente “pesanti” all’interno dell’Ue. “Il 35% delle risposte sono arrivate dalla Gran Bretagna mentre un altro 30% da Austria e Germania”, riporta Malmstrom, aggiungendo che il 70% delle risposte è arrivato da 7-8 Paesi.
La gran parte delle risposte, circa 145 mila, sono arrivate attraverso formulari online precompilati, ma la Commissione ha ricevuto anche circa 3 mila risposte individuali da cittadini e da circa 450 organizzazioni tra Ong, organizzazioni imprenditoriali, sindacati, gruppi di consumatori, studi legali e ricercatori. I temi su cui i cittadini si sono concentrati maggiormente sono stati: la tutela del diritto di regolamentazione, la creazione e il funzionamento di tribunali arbitrali, la correlazione tra l’ordinamento nazionale e l’Isds e il riesame della correttezza giuridica delle decisioni Isds ad opera di un meccanismo d’appello.
http://www.italiainprimapagina.it/ e eunews – 14 gennaio 2015