Il risarcimento del danno da cattivo esercizio dell’attività amministrativa è legato alla violazione di principi che il Consiglio di Stato (quinta sezione, sentenza 4968), identifica sotto il profilo oggettivo e soggettivo.
La compromissione deve riguardare: i criteri di economicità, efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza; l’aggravamento del procedimento non dovuta a straordinarie e motivate esigenze imposte dalla doverosa attività istruttoria; la mancata doverosa conclusione del procedimento amministrativo con un provvedimento espresso; la mancata motivazione dei provvedimenti autorizzatori che devono essere motivati – i principi di legalità, imparzialità e buon andamento (art. 97 Costituzione); l’ingiustificato arresto procedimentale, rinviando sine die il doveroso esercizio della funzione amministrativa.
Il Consiglio di Stato con la sentenza 4968 ha affrontato una situazione di ritardo nel rilascio di un permesso a costruire, ritardo ritenuto ingiustificato. Tale evenienza è, in genere, destinata a riguardare ogni tipo di attività diretta al rilascio di un provvedimento amministrativo, in ipotesi in cui l’Amministrazione richiede, ovvero dispone incombenti istruttori non oggettivamente necessari, i quali, proprio per tale motivo, diventano ingiustificati e causativi di responsabilità. La sentenza merita di essere segnalata non tanto perché riprende l’affermata risarcibilità della lesione dell’interesse legittimo, riconosciuta fin dalla sentenza 500 del 1999 delle Sezioni unite della Cassazione, quanto per l’individuato decalogo che con chiarezza viene a indicare le condizioni per ottenere il risarcimento del danno verso la Pa.
Spiegano i giudici che l’immotivata e irragionevole inerzia a provvedere, e a non provvedere tempestivamente, genera il diritto al risarcimento allorchè si tenga presente che: non si è mai in presenza di un mero ritardo nell’esercizio dell’attività amministrativa, qualora il provvedimento venga successivamente rilasciato. Dal momento che in tal caso si dimostra la sussistenza in capo al richiedente del diritto al «bene della vita», rappresentato dall’interesse perseguito e meritevole di tutela con l’ottenimento del richiesto provvedimento; di fronte all’inerzia della situazione è irrilevante la circostanza che il richiedente abbia omesso di impugnare il silenzio rifiuto che si era eventualmente formato. A tal proposito il Consiglio di Stato afferma che «il decorso del termine per provvedere – per il rilascio del provvedimento – non esaurisce il potere/dovere dell’amministrazione di provvedere sulla domanda del privato (si veda pure Consiglio di Stato, Quinta sezione, sentenza 6623/2005). Tale evenienza costituisce silenzio/rifiuto del richiesto provvedimento».
Si vuole con ciò attribuire al richiedente «la facoltà di liberarsi dell’inerzia dell’amministrazione e dell’onere della diffida e messa in mora di quest’ultima, indispensabile per adire il giudice amministrativo (C.d.S., sez. V, 25 settembre 1998, n. 1326; sez. IV, 1 ottobre 1993, n. 818)». Il che fa sì che la mancata impugnazione dell’inerzia, cioè del silenzio serbato dalla Pa, rileva sotto il diverso profilo della richiesta risarcitoria come causa del danno edella concreta sua determinazione (art. 1227 del Codice civile e 30, comma 3 del Codice del processo amministrativo). La sola illegittimità dell’atto è, tuttavia, di per sé insufficiente per dar luogo alla responsabilità e al conseguente risarcimento del danno per lesione dell’interesse legittimo. È, quindi, necessario anche il concorso dell’elemento soggettivo, cioè del requisito della “colpa”, come negligenza tenuta nell’esercizio dell’attività della Pa. Spiega il Consiglio di Stato che la colpa ricorre allorché vengano violati i principi di imparzialità, collegato al dovere della parità di trattamento per l’Amministrazione. A ciò si aggiunga, ora, anche la compromissione del dovere di astensione in capo al responsabile del procedimento, in caso di conflitti di interesse (articolo 6 bis della Legge 241 del 1990, introdotto con la Legge 190 del 2012 di buon andamento, di difetto assoluto di motivazione, di ingiustificato illogico aggravamento o arresto del procedimento. Tutti tali aspetti sono in grado, se ricorrenti, di determinare la sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa, necessario agli effetti risarcitori. L’errore scusabile elimina l’elemento psicologico per la responsabilità, se sussistono: peculiari complessità dei fatti; contrasti giurisprudenziali; incertezza normativa; determinazione presa in conformità a un precedente atto amministrativo.
Infine sono irrilevanti prassi o comportamenti reiterati degli Uffici amministrativi.
Il Sole 24 Ore – 2 novembre 2013