Consulta. Consiglieri regionali, adesso c’è il tetto per compensi
Regioni a statuto ordinario obbligate a porre un tetto al numero e ai compensi dei consiglieri regionali e ad istituire il collegio dei revisori dei conti. La sentenza della Corte costituzionale 20 luglio 2012, n. 198 ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale poste dalle Regioni Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia, Umbria e Veneto contro l’articolo 14, comma 1, del d.l. 138/2011, convertito in legge 148/2011, cioè la seconda manovra estiva dello scorso anno.
E’ una sentenza molto istruttiva, a ben vedere, della tensione dei rapporti tra legislatore statale e regionale, causata da un lato dalla riforma del Titolo V della Costituzione, tesa ad incrementare l’autonomia delle regioni e degli enti locali e, dall’altro, dalle esigenze di coordinamento e contenimento della finanza pubblica. Ed è una sentenza che, in parte, spiega alcuni perché della crescita esponenziale della spesa pubblica, dovuta certamente alle dosi di “federalismo all’italiana” determinate proprio dalla riforma del Titolo V, che hanno indotto le regioni ad aumentare non poco la spesa connessa ai costi della politica.
Con la manovra estiva 2011 targata Tremonti, il legislatore statale ha cercato di porre un freno alle spese delle regioni legate al numero e agli emolumenti dei consiglieri, disponendo, con l’articolo 14, comma 1, lettere a) e b) della manovra 2011, i quali fissano un limite al numero dei consiglieri e degli assessori, rapportato agli abitanti, consentendo, però, alle Regioni di fissare entro i margini stabiliti dalla legge nazionale di definire esattamente la composizione dei consigli e delle giunte regionali. La lettera c), sempre dell’articolo 14, comma 1, ha invece disposto un «tetto» all’ammontare degli emolumenti dei consiglieri, prevedendo che essi non possano essere superiori a quelli previsti per i parlamentari. Anche in questo caso, si tratta di un «limite complessivo», spiega la Corte costituzionale, che lascia alle Regioni un autonomo margine di scelta. Infine, le disposizioni di cui alle lettere d) ed f) dell’articolo 14, comma 1, hanno inteso contenere la spesa pubblica ponendo al trattamento economico dei consiglieri regionali il limite dell’effettiva partecipazione ai lavori del Consiglio, e stabilendo che il loro trattamento previdenziale debba essere di tipo contributivo.
Alle regioni a statuto ordinario, tuttavia, queste misure di riduzione della spesa e, in parte, anche di equiparazione del regime pensionistico dei consiglieri regionali a quello dei normali lavoratori, non erano andate giù. Nonostante il delicatissimo momento economico. E così si sono rivolte alla Consulta, eccependo l’illegittimità costituzionale delle norme citate, in quanto a vario titolo assunte come lesive della loro autonomia.
La Corte costituzionale, però, ha fatto buona guardia ed ha dato maggiore rilevanza alle esigenze di coordinamento della finanza pubblica, rilevando che comunque l’articolo 14 aveva lasciato margini di autonomia compatibili con l’assetto costituzionale. La Consulta, invece, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 2 dell’articolo 14, che imponeva alle regioni a statuto speciale di adeguare i propri statuti alle norme del comma 1, perché in questo modo la legge ordinaria avrebbe imposto limiti ad una fonte di rango superiore, gli statuti delle regioni ad autonomia speciale, che sono leggi costituzionali.
Luigi Olivieri – ItaliaOggi – 22 luglio 2012