di Dino Pesole Una «carta di riserva» che può valere fino a 7-8miliardi, se applicata integralmente da Bruxelles, oppure ridursi nei dintorni dei 4-5 miliardi qualora ci si attesti su una linea più prudenziale.
Il governo si appresta ad utilizzarla nel confronto in atto con la Commissione europea, per ottenere l’applicazione della clausola di Percorso che verrà tracciato sia nel Documento di economia e finanza, al varo del Consiglio dei ministri subito dopo Pasqua, sia nel Programma nazionale di riforma. La strada è sostanzialmente aperta dalla comunicazione adottata da Bruxelles lo scorso 13 gennaio, in virtù della quale il nostro paese ha già fruito del dimezzamento del taglio del deficit strutturale per l’anno in corso (dallo 0,5% allo 0,25%).
Sono state in sostanza applicate le per effetto della prolungata fase recessiva, che non potranno più essere invocate dal 2016 quando verrà certificato il ritorno dell’economia nazionale alla crescita. Ecco allora che potrebbe scattare la seconda clausola di flessibilità, a condizione che il governo esponga nei documenti programmatici in via di definizione e realizzi concretamente gran parte delle riforme già avviate e quelle in lista d’attesa. L’altra condizione assoluta è mantenere comunque il deficit nominale al di sotto del 3% del Pil, e nel nostro caso verrebbe comunque considerato un atout fondamentale la riduzione del principale target di riferimento applicato in sede europea (non a caso nel Def verrà indicato un deficit al 2,6% quest’anno e all’1,8% nel 2016). La deviazione temporanea riguarderebbe nuovamente il timing di riduzione del deficit strutturale (al netto delle variazioni del ciclo economico e delle una tantum), in direzione del pareggio di bilancio che a bocce ferme verrebbe raggiunto nel 2017 e che ora potrebbe slittare anche di due anni. La novità inserita nella comunicazione del 13 gennaio ruota attorno alla possibilità di autorizzare gli stati membri che rientrano nel «braccio preventivo» del Patto di stabilità di far fronte ai «costi a breve termine derivanti dall’attuazione di riforme strutturali destinate a generare a lungo termine effetti positivi sul bilancio, compreso il potenziale di crescita sostenibile». Stando alle più recenti simulazioni del Mef, l’impatto globale delle riforme è stimato nel 3,9% del Pil entro il 2020 (effetto che Bruxelles giudica eccessivo). Non si tratterebbe tuttavia di un assegno in bianco. Le riforme indicate nel Programma devono essere “importanti”, vanno attuate “integralmente” e devono comportare «effetti positivi a lungo termine sul bilancio». Non a caso è previsto un attento monitoraggio da parte di Bruxelles sul percorso di attuazione delle riforme nell’ambito del cosiddetto «semestre europeo». Se queste precondizioni risulteranno soddisfatte, la Commissione raccomanderà di concedere più tempo per raggiungere l’obiettivo di medio termine, in poche parole la possibilità di «deviare temporaneamente» dal percorso di aggiustamento strutturale. Deviazione che comunque (ed eccoci al punto) non dovrà superare lo 0,5% del Pil (7-8 miliardi per l’Italia da intendersi come scostamento massimo). L’altra condizione è che l’obiettivo di medio termine (il pareggio) venga raggiunto «entro i quattro anni coperti dal Programma di stabilità».
Nell’ipotesi che la clausola venga attivata dal 2016, l’Italia sarebbe dunque potrebbe fruire di un tempo supplementare (fino al 2019) per agganciare il pareggio di bilancio. Sulla carta, si tratta di un margine non da poco (da aggiungere alla minore spesa per interessi garantita dal calo dello spread), che certo non potrà essere utilizzato per coprire nuova spesa corrente. Il beneficio è da individuare nell’incremento del Pil potenziale. La riduzione del deficit nominale e del debito sarebbe a quel punto garantita per buona parte dall’incremento del “denominatore” (il Pil appunto). In tal modo sarebbe possibile evitare l’apertura di una procedura per squilibri macroeconomici eccessivi, e garantire il parziale rispetto della «regola del debito». Resta fermo l’obiettivo di reperire con la prossima legge di stabilità almeno altri io miliardi dalla spending review per evitare che scattino le «clausole di salvaguardia», e di finanziare (con ulteriori tagli alla spesa corrente primaria o con aumenti di entrate) tutte le altre misure che comportino oneri a carico della finanza pubblica
Il Sole 24 Ore – 1 aprile 2015