Mezzo milione di contratti a termine al test dei rinnovi: tanti sono i dipendenti a tempo determinato che vedranno concludere il proprio incarico tra aprile e giugno. Mentre il decreto «Poletti» (Dl 34/2014), con le novità su causali e proroghe, è all’esame del Parlamento per la conversione in legge, dall’elaborazione del centro studi Datagiovani per Il Sole 24 Ore emerge che il 23% dei rapporti di lavoro a termine si esaurirà nel giro di pochi mesi.
Come dire quasi uno su quattro. E la stima è per difetto, come spiegano da Datagiovani: «Il dato si riferisce solo a una parte dei contratti in vita nel terzo trimestre del 2013, quelli per cui si riesce ragionevolmente a datarne la possibile conclusione».
Applicando i princìpi generali, le formule a tempo determinato in corso dovrebbero essere soggette alla vecchia disciplina (si veda l’articolo sotto), ma in caso di rinnovo, dopo la pausa di 10 o 20 giorni, scattano le nuove regole, con la possibilità di proroga fino a 8 otto volte nell’arco di 36 mesi.
L’identikit
Quasi la metà dei contratti in dirittura d’arrivo è stata siglata al Nord, il 46% è intestato a giovani con meno di 35 anni, mentre le donne prevalgono sugli uomini – 247mila contro 239mila – e rappresentano un quarto di tutte le lavoratrici a termine.
Dalla girandola di numeri emerge che sono le figure intermedie a dover fronteggiare in tempi rapidi il test dei rinnovi: 215mila tra impiegati, addetti del commercio e dei servizi, artigiani, operai specializzati vedranno concludere il contratto entro il prossimo giugno (il 44% del totale).
Non se la passano meglio i profili alti, di solito con la laurea in tasca: 134mila professionisti e tecnici hi-tech concluderanno l’incarico entro giugno, sorte condivisa con il 30% tra chi ha un titolo universitario e un contratto “flessibile”.
«Per queste figure – spiega Maurizio Del Conte, docente di diritto del lavoro alla Bocconi di Milano – è più alta l’esigenza per le imprese di applicare un periodo di prova lungo prima di passare al tempo indeterminato».
A livello di settori, poi, 83mila contratti in scadenza riguardano industria e costruzioni e 124mila la pubblica amministrazione: nell’universo di scuola, sanità, servizi sociali si concluderà il 25% del totale degli incarichi. Elevate anche le cessazioni negli alberghi e nei ristoranti (67mila), comparti a forte stagionalità e con alto turnover.
Le ragioni del termine
Tra le motivazioni che hanno determinato l’utilizzo di un contratto a termine, in circa il 43% dei casi si registra un’attività occasionale o discontinua e nel 27% la stagionalità del lavoro.
Inoltre tre su quattro di coloro che concluderanno l’incarico non sono alla prima esperienza: si tratta di 374mila persone che dimostrano come questa tipologia contrattuale sia uno dei canali più usati per il primo impiego, ma anche un’ormai consolidata esigenza di flessibilità da parte delle aziende che a causa della crisi navigano sempre di più a vista, come confermano i dati delle comunicazioni obbligatorie (il 68% dei nuovi contratti è a tempo determinato).
Le nuove regole
Il decreto Poletti, entrato in vigore il 21 marzo scorso – oltre a cancellare l’obbligo di indicare la causale (i motivi che giustificano il termine) che in passato ha alimentato in modo massiccio il contenzioso – è intervenuto sulla disciplina delle proroghe. Mentre il decreto legislativo 368/2001, prima del Dl «Poletti», concedeva la possibilità di una sola proroga (per ciascun rapporto a termine e motivata da ragioni oggettive), per i contratti siglati dal 21 marzo se ne potranno stipulare fino a otto, con il consenso del lavoratore, purché si riferiscano alla stessa attività per la quale era stato firmato il contratto a termine.
Inalterato invece il tetto massimo di 36 mesi alla durata complessiva e il regime dello “stop&go”, cioè i periodi di pausa da rispettare tra un rapporto di lavoro a tempo determinato e il successivo (dieci o venti giorni a seconda che il contratto iniziale sia di durata inferiore o superiore a sei mesi).
Regole ancora da chiarire per il regime transitorio
I DUBBI Il decreto 34/2014 lascia aperti alcuni «vuoti» che dovranno essere colmati in sede di conversione in legge
Il decreto 34 porta indubbiamentecon sé una maggiore flessibilità nel mercato del lavoro ma anche alcuni nodi da sciogliere: il testo lascia infatti aperte alcuni “vuoti” che dovranno essere colmati in sede di conversione in legge oltre che dagli opportuni interventi di prassi.
Una delle maggiori criticità riguarda il regime applicativo della nuova formulazione del contratto a termine: si tratta di un effetto di rilievo perché inciderà direttamente sulla gestione dei rapporti di lavoro a tempo determinato in scadenza ma instaurati prima dell’entrata in vigore del decreto Poletti.
In particolare, a destare perplessità è quale decorrenza debba essere osservata nella stipula delle proroghe, dal momento che la norma non prevede un periodo transitorio. In sostanza, nonè chiaro se l’opportunità di ricorrere alle 8 proroghe anziché a una soltanto – come prevedeva il dettato del Dlgs 368/2001 prima delle modifiche del Dl 34 – possa essere sfruttata solo per i contratti sottoscritti a partire dal 21 marzo 2014 (data di entrata in vigore della norma) oppure anche per i rapporti a termine in corso.
Siccomequesti ultimi sono stati avviati con le regole previgenti, l’interpretazione prudenziale lascerebbe supporre che si possa usufruire di una sola proroga, ammesso che questa non sia già stata attivata e purché nonsia già stato raggiunto il limite dei 36 mesi di contratto a tempo determinato nei confronti del lavoratore.
Viceversa, per poter utilizzare appieno la disciplina delle 8 proroghe, i contratti in scadenza potrebbero essere lasciati terminare e – una volta decorso lo stop&go (10 o 20 giorni a seconda che il contratto iniziale fosse rispettivamente di durata inferiore/pari a 6 mesi ovvero superiore) – le parti avrebbero la possibilità di dar vita a un ulteriore contratto, secondo le nuove disposizioni.
Questa lettura trova anche riscontro nel fatto che il precedente articolato normativo vincolava la (sola) proroga al fatto che fosse richiesta da ragioni oggettive: applicare la formulazione delle 8 proroghe di cui al Dl 34, senza ormai l’obbligo di dover indicare le ragioni giustificatrici della stessa, muterebbe appunto il sistema di “garanzie” con il quale il contratto era stato avviato a suo tempo.
Unaltro riscontro su questa linea è dato dal computo delle proroghe: se il nuovo regime fosse ammesso anche per i contratti in corso, si dovrebbe andare a scalare dal tetto massimo di otto proroghe quella già eventualmente utilizzata in vigenza della vecchia disciplina normativa, interesecando però spezzoni di legge che si riferiscono a presupposti differenti.
Anche il ministero del Lavoro ha già seguito questo tipo di interpretazione, per situazioni analoghe (circolare 7/2008): è stato infatti argomentato come – alla luce dei principi generali secondo cui la legge non può avere effetto retroattivo ma «dispone solo per l’avvenire» – la norma abrogata cessa di avere effetto per il futuro ma continua a disciplinare i fatti avvenuti sotto la sua vigenza.
Il Sole 24 Ore – 31 marzo 2014