di Alessandro Barbera. Ministro Poletti, il miracolo le è riuscito: sul decreto Lavoro ha messo d’accordo Sacconi e la sinistra Pd. Però nella maggioranza c’è ancora chi dice che il testo non va bene, come Fassina.
«Tendo ad affrontare i problemi in modo molto semplice. Li osservo, cerco strade percorribili, le sperimento. Non penso a come dare soddisfazione a questo o a quello. Le bandierine non mi interessano, diventano bende. Se lo vogliamo chiamare pragmatismo, sono un pragmatico».
I sindacati dicono che togliere l’obbligo di assunzione per chi supera il tetto del 20% per le assunzioni a tempo è sbagliato, che aumenterà l’illegalità. Cosa risponde?
«Quello che abbiamo trovato è un buon punto di equilibrio. Va bene così, non sarà cambiato. E’ ora di convertire il decreto. C’è bisogno di dare certezze alle tante imprese che stanno aspettando quel via libera per procedere con le assunzioni. E poiché di assunzioni c’è molto bisogno…»
I tempi sono stretti, dovete chiudere entro il 20 maggio?
«Il Senato ha già calendarizzato per la prossima settimana l’arrivo del nuovo testo in aula. Dopo di questo mi aspetto che la Camera approvi in via definitiva senza ulteriori modifiche».
Ogni novità ulteriore di riforma del mercato del lavoro è rimandata alla legge delega sul job act?
«Sì, anche se ci sono due questioni da affrontare subito: quella delle false partite Iva e degli esodati».
Ci sarà un altro decreto?
«Eviterei nuove leggi, se ne fanno fin troppe. Qui si parla eventualmente di atti amministrativi. Penso in particolare alle partite Iva: ora che il contratto a termine è più utilizzabile che in passato, pensiamo non ci siano più alibi, che occorra maggiore chiarezza. Occorre stabilire confini precisi, decidere quando una partita Iva è tale, e per questo merita di essere utilizzata, e con quali costi, e quando no».
Ci faccia un esempio concreto sulle false partite Iva.
«Se una persona si autorganizza tempi e modalità del suo lavoro, assume il buon esito di un obiettivo, è una vera partita Iva. Se si tratta di un contratto a tempo, biennale o triennale, se il lavoratore è sottoposto a orari e turni secondo il classico schema della subordinazione, ecco, quello non va bene chiamarlo partita Iva».
E che dire delle vere partite Iva? Lamentano di pagare troppe tasse.
«Questa è l’altra parte del nostro lavoro. Vogliamo trovare un equilibrio fra costi, rischi e tutele. Se i costi sono troppo bassi, c’è chi se ne approfitta. Se sono troppo alti, c’è un disincentivo. Oggi ci sono sempre più imprenditori di sé stessi, penso a tutti quei giovani che costruiscono piccole aziende per la produzione di software. Per queste nuove tipologie di lavoro occorre trovare una soluzione che permetta, soprattutto all’inizio, di dare l’opportunità di decollare a costi contenuti».
Un contratto di inserimento per le partite Iva, lo possiamo chiamare così?
«Chiamiamolo così».
Sugli esodati non si è ancora fatto abbastanza?
«Con il meccanismo delle salvaguardie ne abbiamo tutelati circa 110mila. Ma secondo alcune stime, ancora tutte da verificare, le persone sarebbero in tutto 290mila. Mercoledì 7 faremo una riunione con il Tesoro, l’Inps, i rappresentanti delle Commissioni parlamentari per discutere una soluzione definitiva».
Progetto garanzia giovani: il primo maggio è partito il sito nazionale nel quale qualunque disoccupato può facilmente iscriversi e sperare così in un’opportunità di lavoro. Ma molte Regioni sono in ritardo. Come mai?
«Alle 15 di oggi (ieri per chi legge, ndr) ci sono state diecimila registrazioni al sito nazionale, circa cinquemila in quelli delle Regioni. Questo non è un “clic day”, bensì un programma che durerà due anni. Mi sembra una partenza incoraggiante. E’ vero, alcune Regioni sono avanti, altre più indietro. Ma non c’è uno scontro con loro».
Spesso di discute dei centri per l’impiego, della qualità del loro lavoro, dei troppi dipendenti. Le Province sono in via di abolizione. Che ne sarà di loro? Passeranno sotto il controllo delle Regioni? Non occorre accelerare?
«La delega sul lavoro parla della creazione di un’agenzia nazionale. I centri per l’impiego dovrebbero passare sotto la responsabilità delle Regioni, ma dipenderà anche dal dibattito sulla riforma del Titolo quinto della Costituzione».
Che ne è della sperimentazione del buono da utilizzare nelle agenzie per il lavoro private come per esempio Manpower o Obiettivo Lavoro?
«E’ una soluzione da valutare, tenuto conto che il rapporto con le imprese che hanno i privati è più intenso di quello dei centri per l’impiego pubblici. Nel progetto garanzia giovani c’è un tariffario preciso, correlato al buon esito dell’eventuale intervento di un privato: una cosa è avere un colloquio, altro è trovare lavoro. Faccio presente che su tutta questa materia le Regioni si stanno organizzando autonomamente. Alcune hanno già fatto l’accreditamento, e se vogliono possono finanziare l’uso di buoni presso i privati».
Quest’estate andrà in vacanza con la sua solita roulotte?
«Confermo. Quello è il mio buen retiro e resta una parte fondamentale della qualità della mia vita».
La Stampa – 4 maggio 2014