La proposta dell’Aran ai sindacati. Statali, ma stagionali, come le mondine di una volta, i raccoglitori di pomodori o di olive. É la nuova figura del dipendente pubblico precario, legato a lavori classificabili come stagionali per cadenza e durata, tipologie per le quali non scatterebbe il divieto di reiterazione dei contratti a tempo determinato oltre i 36 mesi.
La figura è spuntata al tavolo delle trattative sui precari pubblici in corso tra l’Agenzia governativa per la contrattazione e i sindacati. Il divieto imposto dalla legislazione comunitaria, e disciplinato dalla riforma Fornero, in Italia promette di mietere le sue vittime tra fine luglio e fine dicembre, quando si stima che circa 250 mila lavoratori, tra stato, sanità, enti locali, beni culturali e ricerca, dovrebbero andare a casa per aver superato il tetto dei 36 mesi.
Fuori dal novero i precari della scuola, per i quali nei fatti la stagionalità dei contratti di supplenza, da settembre a giugno, è già vigente. Per sanare la situazione alla radice andrebbero assunti tutti a tempo indeterminato, ma ragioni di cassa, hanno più volte ribadito nell’ultimo decennio dalla Ragioneria generale dello stato, non lo consentono. E poi c’è il problema che molti di loro non hanno mai fatto un concorso, che invece è imposto dalla Costituzione per l’accesso alle pubbliche amministrazioni.
Per evitare quelli che suonerebbero come licenziamenti di massa, la legge ha concesso un confronto negoziale: per accentuare la portata della norma generale si possono disciplinare i tetti che si applicano nello stato, in nome della sua specificità, e le tipologie di contratto a tempo ai quali si applicano. La proposta di nuova regolamentazione è stata avanzata, su direttiva del ministro della funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi, dall’Aran, l’agenzia governativa per la contrattazione nel pubblico impiego, alle sigle sindacali. É arduo dire se si arriverà a un accordo in tempo utile. Anche se i presupposti non sembrano affatto buoni: i sindacati, in particolare Cgil e Uil, ritengono che l’accordo sarebbe una pezza che consente magari di prolungare in vita i contratti ancora per qualche mese, 6, forse anche 12. Per poi ritrovarsi nelle stesse condizioni di prima. Le due sigle spingono per una soluzione legislativa che avvii la stabilizzazione dei precari storici, magari con una selezione per chi non ne ha fatte. La Cisl, visti i tempi di magra, preferisce invece che l’accordo si affaccia senza aspettare tempi migliori, intanto si salvi il salvabile. Le proposte sul tavolo tentano di alleggerire il contingente del precariato a rischio, e tra queste è spuntata l’ipotesi di estendere l’elenco dei lavoratori stagionali del decreto del 1963, che comprende dalle mondine ai raccoglitori di olive: non sono sottoposti al tetto dei 36 mesi di durata massima dei contratti i travet chiamati a svolgere lavori legati a festività religiose e civili, a manifestazioni periodiche, all’intensificazione dell’attività istituzionale in determinati periodi dell’anno, come potrebbe essere la stesura dei bilanci e la rendicontazione dei progetti che utilizzano fondi europei. L’operazione, ammettono i protagonisti, è in salita e non è di certo facilitata dall’assenza di un governo nella pienezza dei suoi poteri. In questo caso anche la battaglia per la stabilizzazione sarebbe più semplice, almeno come prorosizione. Se non dovesse esserci nessuna novità, e neanche un accordo che limiti i danni, a gennaio 2014, tra i precari che perdono il posto e i lavoratori che hanno lasciato per pensionamento e non sono stati sostituiti, la casta degli statali avrebbe perso 500 mila unità. Quasi il 15% dell’intero apparato
ItaliaOggi – 12 aprile 2013