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Contratto della dirigenza medica in stallo tra nuovi e vecchi macigni. Contrarietà per l’importo del finanziamento del Fondo per l’esclusività

di Rosanna Magnano. La Ragioneria Generale dello Stato – con una nota sull’Atto di Indirizzo integrativo per l’Area della Dirigenza medica, veterinaria e sanitaria predisposto dal Comitato di Settore delle Regioni – da un lato boccia il tentativo delle regioni di posticipare l’aumento contrattuale rispetto al primo gennaio 2018, con un disallineamento rispetto alle altre aree della Pa , dall’altro rileva come la richiesta di includere l’indennità di esclusività nel monte salari determini «effetti di maggiore spesa, che altererebbero il quadro finanziario di riferimento per il rinnovo del contratto collettivo in esame con effetti negativi anche sulle tornate contrattuali successive». Una doppia evidenza che secondo l’Intersindacale «ha messo in luce il macigno, che nessuno, sin ora, ha voluto vedere, che grava su questo contratto».

Di fronte a questo documento di fatto le sigle dei camici bianchi chiedono alle regioni di andare subito oltre. Optando per una scelta politica, quella di dare la disponibilità a coprire gli oneri derivanti dall’introduzione dell’indennità di esclusività nel monte salari. E al Governo che verrà, se verrà, di garantire un rinnovo contrattuale degno a una categoria, come quella della dirigenza medica, intorno alla quale ruota una parte fondamentale dell’assistenza sanitaria pubblica e che soffre da tempo di gravi carenze.

«L’inserimento dell’indennità di esclusività di rapporto nella massa salariale dei dirigenti medici, veterinari e sanitari – sottolinea l’Intersindacale – è indispensabile per rendere giustizia alla categoria, affinché essa ottenga gli stessi aumenti riconosciuti agli altri dipendenti della Pubblica Amministrazione. Il contratto di medici, veterinari e dirigenti sanitari del Ssn è l’unico del comparto sanità ancora al palo, un ritardo imperdonabile che colpisce chi ha ruoli di responsabilità diretta nella diagnosi e cura dei pazienti e nella protezione della salute, assicurando, in modo insostituibile, un diritto costituzionale fondamentale».

Le organizzazioni sindacali della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria inoltre «non possono accettare che un parere tecnico, che ha lo scopo di evidenziare al Governo un problema, si trasformi, per l’inerzia del Governo in questa fase, in una ostruzione sul percorso del nuovo contratto».

Ora quindi « tocca anche alle Regioni assumere iniziative idonee a sbloccare la trattativa, dopo che hanno colpevolmente sottodimensionato gli oneri economici del rinnovo contrattuale della dirigenza medica e sanitaria, giocando sulla presunta ambiguità dei testi di precedenti contratti, pur avendo fatto cassa sui risparmi derivanti dal costo del personale».

«I partiti che si apprestano a formare un nuovo Governo – conclude la nota dei camici bianchi – devono urgentemente intestarsi un problema che si trascina da 10 anni, da cui dipende il destino stesso della sanità pubblica e delle professioni dirigenziali nel suo contesto, cercando una soluzione soddisfacente, rispettosa del diritto alla cura dei cittadini e di chi lavora con alto senso di responsabilità per una sanità pubblica, equa ed accessibile anche in futuro».

Cimo: «Se queste sono le basi siamo pronti a non firmare il contratto»
Intanto in Gazzetta ufficiale è stata pubblicata la delibera Cipe che ripartisce tra le regioni 
l’importo di 30,15 milioni di euro, a valere sulle disponibilità del Fsn 2017, vincolati al finanziamento del Fondo per l’esclusività del rapporto del personale dirigente del ruolo sanitario che ha optato per la libera professione intramuraria. «Una cifra ben più bassa – sottolinea Guido Quici, presidente di Cimo – rispetto ai 43 milioni previsti. Questo a riprova del fatto che le Regioni hanno accumulato un grosso risparmio sul costo del personale, così come testimoniato anche dal conto annuale. L’inganno è doppio. Da un lato non si capisce perché la dirigenza medica non debba avere lo stesso trattamento previsto dal resto della pubblica amministrazione e degli altri attori della sanità, come i professionisti del comparto, i pediatri, gli specialisti ambulatoriali e i medici di medicina generale, per i quali sono stati trovati fondi e soluzioni per i rinnovi contrattuali e le convenzioni».

Dall’altro, sul fronte dell’inclusione dell’indennità di esclusività nel monte salari – conclude Quici – siamo di fronte a un problema economico fasullo. Stiamo parlando di una voce di spesa ferma da quattordici anni, che non solo si rifiuta di includere nella massa salariale ma di fatto non è più neanche adeguata alla sua funzione originaria. Ovvero di compensare il medico che sceglie l’esclusività del rapporto con il Sistema sanitario nazionale. Allora ridiscutiamo tutto e rivisitiamo e rilanciamo la libera professione intramuraria, per intercettare il nuovo mercato della sanità integrativa e far tornare risorse fresche nella sanità pubblica. Superando anche i pregiudizi sulle liste d’attesa, che non sono causate dall’intramoenia ma dalla cattiva organizzazione. Se le basi restano queste, siamo di fronte a disparità di trattamento contro le quali Cimo è pronta ad adire alle vie legali contro le Regioni. E un contratto così noi non lo firmeremo».

Il Sole 24 Ore sanità – 30 marzo 2018

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