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Così le Regioni boicottano il farmaco contro l’epatite C. Alcune non hanno neanche comunicato dove somministrarlo

Paolo Russo. Il super farmaco contro l’epatite C resta una chimera per larga parte dei 50 mila pazienti in condizioni gravi, che un mese fa avevano brindato all’inserimento del Sofosbuvir nell’elenco dei medicinali rimborsati dallo Stato. A denunciarlo sono un’interrogazione parlamentare del deputato Pd Federico Gelli e l’associazione dei malati Epac.

Il presidente, Ivan Gardini, sta monitorando la situazione e, al momento, la pillola che promette di eradicare il virus in sole 12 settimane sarebbe somministrata a carico del Servizio sanitario pubblico solo in Veneto, Lazio e Lombardia. Altrove chi vuole curarsi deve accendere un mutuo, perché comprare in farmacia le scatolette necessarie a completare un ciclo terapeutico costa la bellezza di 70 mila euro.

Le responsabilità

«Il governo intervenga per far luce sull’organizzazione delle regioni», chiede Gelli nell’interrogazione al governo. Ma in questo pasticcio sembrano essere coinvolti un po’ tutti. Sicuramente le stesse regioni, visto che ben sei di loro (Liguria, Sicilia, Calabria, Campania, Friuli e Molise), non si sono nemmeno degnate di inviare al ministero l’elenco dei centri autorizzati a somministrare il farmaco. Ma anche il governo ha la sua parte di responsabilità perché «ancora ad oggi – denuncia Gardini – non risulta essere stato emanato il decreto previsto dalla legge di stabilità per ripartire tra le regioni il miliardo stanziato dalla stessa manovra, per due anni di terapia». E senza denaro in tasca, le Regioni evidentemente tirano il freno. Anche perché non è chiaro quanto alla fine costerà il Sofosbuvir alle malandate casse regionali. Il contratto sottoscritto dall’Aifa, l’Agenzia ministeriale del farmaco, con la Gilead, l’azienda produttrice, prevede il trattamento di 50 mila pazienti più gravi, a un prezzo di 50 mila euro per terapia, con sconti crescenti con l’aumentare delle dosi acquistate dalle regioni.

Carenze di personale

«Il problema – spiega però il presidente dell’Epac – è che per carenze di personale i centri autorizzati al trattamento dell’epatite non sono in grado di trattare più di 25mila pazienti». Come dire che i super-sconti rischiano di rimanere solo sulla carta. E così le cure per i pazienti. Tutto questo mentre l’Ema, l’Agenzia europea dei medicinali, ha da poco autorizzato la commercializzazione di nuovi e ancora più efficaci farmaci anti-epatite, che dovrebbero far crollare il prezzo del Sofosbuvir. «Tra circa un mese – conferma Gardini – anche l’Aifa dovrebbe dare il via libera alla commercializzazione della mono pillola composta dal Sofosbuvir combinato con il Ledipasvir, che consente la remissione dell’infezione da Hcv nel 90% dei casi e senza l’uso combinato dell’interferone». Al che i pazienti potrebbero somministrarsi da soli la terapia, senza ricorrere ai centri regionali se non per controlli. Il problema è vedere a quanti malati potrà a quel punto essere garantita la nuova terapia, visto l’esborso che nel frattempo si è dovuto sostenere per il Sofosbuvir. Che oggi è a carico dello Stato per pazienti in condizioni particolarmente gravi, come quelli con cirrosi, fibrosi o in lista d’attesa per trapianto di fegato. In tutto, sulla carta, circa 70 mila pazienti. Gli altri 300 mila con virus da Hcv aspettano. Nella speranza che lo Stato trovi altri soldi. O che, più semplicemente, contratti prezzi più favorevoli.

La Stampa – 13 gennaio 2015 

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