Di quanto crescerà l’Italia l’anno prossimo? Dell’1% come sostiene il governo attraverso l’autorevole parere del ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, oppure di un più modesto 0,7% come sostiene «asetticamente» l’Istituto di Statistica? La questione è fondamentale perché nel secondo caso potrebbero aumentare le tasse – secondo l’economista del Pdl Renato Brunetta – e sarebbe anche a rischio l’obiettivo di mantenere sotto il 3% il rapporto deficit-Pil.
La diatriba comincia ieri mattina quando l’istituto di statistica diffonde una nota sulle prospettive dell’economia italiana, affermando che nell’anno in corso il Pil arretrerà dell’1,8% mentre nel 2014 è prevista una crescita dello 0,7%. La comunicazione avrebbe un che di routinario se le cifre – come viene rilevato – non facessero a pugni con quelle che Saccomanni ha fornito al Senato il 29 ottobre: meno 1,7% per quest’anno, più 1,1% per l’anno venturo.
Il ministro viene inevitabilmente trascinato in una polemica e risponde mentre si trova a Londra, spiegando che l’Istat «non tiene conto delle riforme» e della loro ricaduta sull’economia, e neppure dell’impatto delle «misure per il rimborso dei debiti della pubblica amministrazione che sta procedendo molto bene». Enrico Giovannini, ministro ma anche ex presidente dell’Istat non può sottrarsi alla controversia: «Quelle dell’Istat sono previsioni che confermano per il 2013 un trend molto negativo, e indicano per il 2014 una crescita dello 0,7%, anche se, nello stesso comunicato, si indica chiaramente che, nel caso in cui la fiducia crescesse, si arriverebbe intorno all’1%, se la ripresa economica dovesse continuare». A qualcuno è sembrata una risposta assai diplomatica. Molto meno lo è la valutazione del capogruppo del Pdl Renato Brunetta: «Speriamo proprio che nella guerra delle previsioni sul Pil 2014 abbia ragione il ministro dell’Economia, perché se così non fosse salterebbe l’intero impianto macroeconomico su cui si regge la Legge di stabilità». Praticamente una catastrofe, perché «la pressione fiscale – spiega Brunetta – piuttosto che diminuire, nel triennio, dal 44,3% nel 2013 al 43,3% nel 2016, aumenterebbe dal 44,3% nel 2013 al 44,6% nel 2016. E molto probabilmente sarebbe a rischio anche il rispetto del parametro del 3% relativo al rapporto deficit/Pil».
Cauto il Direttorio della Banca d’Italia: «Sia in Europa, sia in Italia si rafforzano i segnali di un graduale miglioramento, sebbene la spirale tra bassa crescita economica, crisi del debito sovrano e condizioni complessive del sistema bancario continui a rappresentare il principale rischio per le prospettive della ripresa». Non a queste cifre, beninteso, ma all’insieme della situazione economica ha fatto riferimento anche il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, sottolineando che in questo momento le risorse «scarseggiano», che «la coperta resterà corta anche se riusciremo con grande sforzo collettivo di responsabilità e di coesione a riaprirci presto un sentiero di crescita per l’economia italiana».
Un auspicio supportato da un dato oggettivo: il fabbisogno di ottobre è inferiore un miliardo e mezzo di quello di ottobre 2012 «in linea con le previsioni», fanno sapere dal ministero dell’Economia.
Il Presidente nella giornata delle Forze armate ha anche rivolto un monito a chi auspica un taglio dei costi degli armamenti: «Non possiamo indulgere a semplicismi e propagandismi che circolano in materia di spesa militare e di dotazioni indispensabili per le nostre forze armate», che in un mondo sempre più «complesso» e esposto a «rischi e minacce» «svolgono un ruolo di crescente importanza per il futuro del Paese».
La Stampa – 5 novembre 2013