Anche Matteo Renzi, da qualche parte, deve avere una zia Marina. Ricordate Silvio Berlusconi? A chi gli faceva notare un eccesso di vanità rispose: «Faccio come mia zia Marina che ha ottant’anni e siccome nessuno le dice che è bella un giorno si è messa allo specchio con un vestito a fiori e si diceva: “Marina, cume te se bela”». Insomma, se ti senti assediato da stormi di gufi («al gufo! al gufo!) che sarà mai indulgere nella cipria?
Per carità, il premier è ancora lontano dalle vette dell’ex Cavaliere. Basti ricordare certi passaggi del suo training autogeno: «Lo ammetto, la mattina quando mi guardo allo specchio ho un’alta considerazione di me. Ma non per narcisismo: perché so di aver fatto cose importanti». «Da quando siamo al governo è successo di tutto, dall’11 settembre, alla stagnazione, ad alluvioni e terremoti, dunque mi sta venendo un complesso di superiorità: meno male che ci sono io, perché un altro che avrebbe fatto?» «La destra è un’Arca e io sono Noè». «Non c’è nessuno sulla scena mondiale che può pretendere di confrontarsi con me, nessuno dei protagonisti della politica che ha il mio passato, la stessa storia che ho io. (…) La mia bravura è fuori discussione: la mia sostanza umana, la mia storia, gli altri se la sognano. Sono loro che devono dimostrare a me di essere bravi».
E non parliamo di riforme! A un certo punto, in vista di una nuova campagna elettorale, ne elencò non due o tre ma trentasei! Dalla «riforma della disciplina del lavoro (Legge Biagi), la più importante dal 1970» a quella «della scuola, la prima grande riforma dal 1923», dalla «legge obiettivo per le grandi opere» all’«abolizione del servizio militare obbligatorio dopo 143 anni», dalla «riforma della seconda parte della costituzione, l’unica dal 1947» (poi spazzata via dal referendum) al «codice della nautica da diporto»…
Quanto bastava per darsi una volta, con José Luis Zapatero che lo guardava incuriosito, una impomatata immortale: «Credo, sinceramente, di essere stato e di essere, di gran lunga, il miglior presidente del Consiglio che l’Italia abbia potuto avere nei 150 anni della sua storia. Lo dico sulla base di ciò che ho fatto e faccio, ed è per questo, credo, che mi attribuiscono il 68,4% di fiducia e di ammirazione». Ennesimo ricorso agli amatissimi sondaggi che un bel dì spinse Mino Martinazzoli a commentare con una risata l’ultima sparata: «I più recenti sondaggi ci dicono che l’87% dei cinesi vorrebbero Berlusconi imperatore della Cina».
Renzi no, non ha mai teorizzato l’auto-terapia («Chi sono i migliori? Nooooi! Chi vincerà? Nooooi!») berlusconiana. Ma si è tenuto lontano anche dal mitico dottor Ciccarelli che in un carosello interrompeva l’entusiasmo eccessivo dell’attrice Giorgia Moll: «Non esageriamo! La “Pasta del Capitano” è un buon dentifricio, anzi ottimo, ma non miracoloso!».
Ieri, per dire, ha rivendicato di essere intervenuto con il suo governo e la sua maggioranza per segnare una svolta «perché di legge elettorale si discute da 20 anni e di riforme istituzionali da 70». Prima ancora che la Carta costituzionale fosse varata. Non male. Il tutto nella scia di una costante insofferenza per il passato: «Siamo qui per cambiare il Paese che quelli prima di noi non sono riusciti a cambiare». «I problemi sono nati dall’incapacità dei politici italiani a gestire le sfide e prendere decisioni». «Per anni in Italia si sono cambiati i governi ma non si sono cambiate le cose: sessantatré governi e non si sono realizzate le riforme». «Il 2015 ha visto l’approvazione di leggi attese da molto tempo. E spesso passate sotto silenzio. Dall’art. 18 alla legge elettorale, dalla tassa sulla prima casa all’Expo, dalla flessibilità al bicameralismo paritario, ci sono alcuni argomenti di cui i politici prima di noi hanno parlato per anni senza realizzare granché». Uffa, le chiacchiere!
Di qui l’idea che fosse necessaria un’opera quotidiana «ottimista e di sinistra» di incoraggiamento. Ed ecco che «bisogna essere consapevoli che «l’Italia tra venti anni sarà leader in Europa. E non lo dico come training autogeno. Se facciamo quel che va fatto torneremo a essere un Paese guida». E poi: «Per anni avremo un impegno di riduzione delle tasse che non ha paragoni nella storia repubblicana. Una rivoluzione copernicana, senza aumentare il debito». E ancora: «Se ci rivediamo tra cinque anni con la legge elettorale provata e sperimentata vedrete che l’Italicum sarà copiato da mezza Europa». «Sulla banda larga saremo leader in Europa nel giro di un triennio».
Evviva: abbiamo bisogno di farci coraggio. Ieri, però, è andato forse un po’ in là: «Ciò che pareva impossibile, il cambiamento in Italia, è realtà». Sicuro? «Il dato di fatto inequivocabile e oggettivo è che mai, in nessun Paese d’Europa, tante riforme sono state fatte in così poco tempo». Mai! In tutta Europa! L’avesse detto un altro, ci consenta, avrebbero tirato in ballo Capitan Trinchetto…
IL Corriere della Sera (Gian Antonio Stella) – 23 febbraio 2016