Di prima mattina incontra la stampa estera, nel cuore di Roma, e fa anche un bilancio dei suoi primi due anni di governo. «Ho ancora la fame del primo giorno, cerco di fare tesoro degli errori commessi, ma continuando a mettercela tutta». Di pomeriggio va a visitare i laboratori del centro di ricerca del Gran Sasso e annuncia fra gli altri che nei primi due anni del suo esecutivo «sono stato troppo chiuso a Palazzo Chigi, mi manca il contatto con la gente, con le persone, cercherò di visitare quante più aziende e posti possibili».
Nel giorno in cui il sito del governo pubblica l’annunciato «Position paper» sul futuro della Ue, un elenco di proposte italiane, concrete, per le riforme che servono all’Europa (dal completamento dell’unione bancaria con la garanzia unica dei depositi ad una diversa politica di bilancio e di flessibilità, sino all’emissione di eurobond per fronteggiare l’emergenza dei migranti), Matteo Renzi visita anche un’azienda che ha fatto molte assunzioni grazie al Jobs act, la Walter Tosto di Chieti, esprime un auspicio per la conclusione delle primarie americane («io faccio il tifo per la Clinton»), indica fra le cose ancora da fare una piena attuazione della riforma della P. A. : «Dobbiamo farla finita con una burocrazia che spesso fa perdere troppo tempo. Occorrono tempi certi, non bisogna fare della pubblica amministrazione un timbrificio alla Checco Zalone».
Mentre dice che quest’anno per la prima volta «in otto anni» il debito scenderà, incontrando la stampa estera, il presidente del Consiglio però di fatto, almeno a parole, taglia anche le stime di crescita del Pil. «Venendo dalla campagna dico che è sempre meglio il segno più che quello meno, come avveniva con i miei predecessori», chiosa. Ma allo stesso tempo parla di una crescita annuale, per il 2016, all’1,4% e non più all’1,6% programmato in precedenza, spiegando che «con il rapporto deficit/Pil al 2,4%, noi per la prima volta abbassiamo il debito/Pil». Ma avverte: «Il ritmo di riduzione del debito risulterà inferiore a quanto previsto dall’accordo europeo sul Fiscal compact».
Di fronte ai corrispondenti stranieri Renzi ha anche rivendicato in questo modo il senso della sua battaglia con le istituzioni di Bruxelles: «Chi dice che lo faccio per guadagnare consenso è fuori dalla realtà. Io sono un genuino idealista, europeista. L’Europa non è stata fatta solo per tenere insieme il parametro di Maastricht, se noi perdiamo l’ideale della costruzione europea siamo finiti».
Un discorso cui va aggiunta una riflessione sul metodo di funzionamento attuale della Ue: «Non vogliamo un’Europa in cui la solidarietà tra gli Stati membri sia “a senso unico”, ne preferiamo una in cui i processi di aggiustamento macroeconomico siano simmetrici». Una posizione che ha come conseguenza, esternata all’ultimo Consiglio europeo, la minaccia di ridurre i fondi europei a disposizione dei Paesi dell’Europa dell’Est che si rifiutano di accogliere la loro parte di rifugiati.
Renzi ieri ha anche puntato l’indice contro il forte avanzo commerciale della Germania, alimentato dagli altri Stati membri a costo della loro stessa crescita, un «paradosso macroeconomico dell’attuale economia europea». E ieri, proprio nella proposta scritta confezionata dal ministro dell’Economia, e pubblicata sul sito del governo, si leggeva: «Un approccio più cooperativo a sostegno della domanda sarebbe un utile complemento alle politiche di riforme strutturali. L’Italia invita pertanto l’Europa ad utilizzare più efficacemente a questo fine la procedura di infrazione per squilibri macroeconomici».
I punti deboli dell’Italia sono deficit e debito, quelli della Germania surplus commerciale e delle partite correnti, ma l’Ue — lamenta indirettamente Roma — usa due pesi e due misure, mentre quello che servirebbe è una «maggiore simmetria» nel rispetto delle regole. Importanti surplus delle partite correnti hanno infatti sull’eurozona «un impatto negativo sul Pil alla pari di quello causato dal deficit», ha sottolineato ieri ancora Renzi, rispondendo proprio alla domanda di un giornalista tedesco.
Marco Galluzzo – Il Corriere della Sera – 23 febbraio 2016