Piazza Montecitorio, ieri mattina. Sotto un pallido sole si ritrovano due “partigiani” del finanziamento pubblico. Preparano la breccia, pianificano una mossa ad effetto che coinvolga Forza Italia e la minoranza Pd. «Dobbiamo agire, non possiamo andare avanti così. Perché non presentiamo qualcosa già a gennaio?», propone l’azzurro Ignazio Abrignani.
L’idea è sfondare il muro dell’antipolitica. Quando? Ogni momento è quello giusto: un emendamento nel Milleproroghe, nel provvedimento sull’anticorruzione oppure in un’altra misura economica di inizio anno. «Noi siamo disponibili e vi sosterremo – replica il dem Ugo Sposetti, ex tesoriere dei Ds – Se vuoi possiamo anche intervenire prima, partendo dal Senato». Un cenno d’intesa, affare fatto. «Ci sentiamo nei prossimi giorni ».
Non sono i soli a proporre un brusco dietrofront. Ci lavora anche Sinistra e libertà, che a differenza degli altri ha votato contro il reset dei rimborsi. «A gennaio, quando si discuterà dell’anticorruzione – sostiene il tesoriere del gruppo vendoliano alla Camera, Gianni Paglia – proporremo di ripristinare il finanziamento pubblico ». Non solo: «Bisogna vietare ai privati che hanno rapporti diretti o indiretti con appalti o subappalti di poter donare risorse alla politica».
Fosse facile. Gli ultimi bilanci hanno sconvolto le segreterie dei partiti. Buchi che sembrano pozzi senza fondo, dipendenti licenziati, scandali giudiziari e finanziamenti al di sotto di ogni sospetto. Senza contare la raccolta del due per mille nel 2013, un flop clamoroso: meno di 200 mila euro al Pd, 24 mila a FI. Per questo le forze più radicate si attrezzano, “tassando” i parlamentari o organizzando cene di autofinanziamento. Abolire i rimborsi elettorali senza un piano B, d’altra parte, consegna praterie ai gruppi di pressione e precipita il sistema nel caos. «Occorre regolamentare le lobby», avverte il Presidente del Senato Pietro Grasso.
Non sarà facile tornare indietro, a dire il vero. Perché tra i fan del nuovo corso c’è Matteo Renzi, che molto ha investito nella battaglia contro i rimborsi elettorali. Peccato che nel Pd la crepa si allarghi. «Io sono per il ripristino totale del finanziamento», picchia duro Cesare Damiano. Non è il solo a sfidare la regola aurea del grillismo, mettendo in discussione la politica a costo zero. Sollecita una riflessione la Presidente della Camera Laura Boldrini e pure la tesoriera di FI Maria Rosaria Rossi. «Finché i privati che donano ai partiti non saranno considerati dei benefattori della democrazia – confida Abrignani a Sposetti qualcosa bisognerà pure inventarsi».
L’orologio della crisi intanto non si ferma. Nel 2010 i partiti potevano contare su 290 milioni di euro. Oggi, dopo le ultime sforbiciate, su 91 milioni. E nel 2017 il bancomat statale chiuderà i battenti. «Ah, finalmente se ne sono accorti?», ironizza Sposetti. E se anche la Legacoop volta le spalle ai partiti, è chiaro che le donazioni private (con un tetto a centomila euro) non potranno soddisfare le esigenze dei partiti. Eppure quasi nessuno ha avuto la forza di opporsi alla ghigliottina sui fondi. «Abbiamo votato una legge sbagliata che moltiplicherà i casi di corruzione – si lamenta Maurizio Gasparri – ma non potevamo dire nulla, sarebbe stato come parlare male del té in Inghilterra… Ora si dovrebbe fare qualcosa, ma sembra impossibile: colpa della furia iconoclasta che ha travolto tutto ». Il tema, almeno quello, sembra tornato in agenda. «Introduciamo i rimborsi, vincolandoli al rispetto della democrazia interna dei partiti», propone Fabio Rampelli (FdI).
Si vedrà, anche perché i rimborsi elettorali sono solo un tassello del puzzle. Il resto fa capo alle Fondazioni, la “cassaforte dei politici” fotografata nell’ultimo numero dell’ Espresso . Buio pesto sui finanziatori – in nome della privacy – nessun tetto alle donazioni e una pressione dei privati che rischia di diventare insostenibile. «Bastava ridurre i rimborsi, anche di molto – ragiona l’ex ministro andreottiano Paolo Cirino Pomicino – E invece i partiti li hanno cancellati, dopo averli quintuplicati nel passaggio dalla prima alla seconda Repubblica… Mah».
Repubblica – 20 dicembre 2014