E che può rappresentare una soluzione all’imbuto formativo per i camici bianchi con cui dobbiamo fare i conti da anni. A patto che il numero delle borse di specializzazione in uscita coincida, più o meno, con gli slot di iscrizione all’università.
Quest’anno potremmo per la prima volta andarci vicini. A fronte di 14.020 posti disponibili per i vincitori dei test d’ingresso (che potrebbero anche essere mille in più come racconta l’ articolo qui a sinistra), già definiti, le disponibilità per le borse di specializzazione dovrebbero essere di 13.507. Stando almeno all’accordo raggiunto il 3 giugno in Conferenza Stato-Regioni. Ma il condizionale è d’obbligo perché, nonostante siamo ormai a luglio e l’anno accademico 2020/21 è iniziato da un pezzo, ancora non si conosce la ripartizione dei posti per ateneo che tocca al ministero dell’Università.
Secondo Angelo Mastrillo, docente di Organizzazione delle professioni sanitarie all’università di Bologna, i 13mila e passa slot del 2020/21 sembrerebbero una buona base di partenza per risolvere l’imbuto formativo di cui sopra, considerando che di tutti i nuovi immatricolati a Medicina ne arriva al traguardo poco meno del 90% e che ci sono ogni anno 22mila candidati a entrare, se il trend venisse confermato negli anni a venire. Grazie anche ai 740 milioni stanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) da qui al 2026 che serviranno, da un lato, a finanziare 900 borse di studio aggiuntive all’anno per corsi specifici di medicina generale di durata triennale (2.700 in totale) e, dall’altro, 4.200 contratti di formazione specialistica aggiuntivi, per un ciclo completo di studi (5 anni) a partire dal 2020.
Fin qui gli sbocchi in uscita. Ma una riflessione ulteriore la meritano anche quelli in entrata. Perché se è vero che gli slot complessivi aumentano, lo fanno in maniera disomogenea. Delle sei facoltà di Medicina nate negli ultimi due anni accademici (Enna e Trento nel 2020/21; Casamassima, Lecce, Potenza e Rende nel 2021/22) cinque si trovano al Sud. E, più in generale, i fabbisogni espressi dalle Regioni – che quest’anno avevano chiesto 14.332 posti e che hanno rappresentato la base dei 14.020 poi concessi – continuano a prescindere dall’effettiva prevalenza dei professionisti sulla popolazione. Come dimostrano gli 84 professionisti ogni 100mila abitanti chiesti dal Molise, che oggi ne ha 67. Mentre l’Umbria (che ne ha 393) si è fermata a 12. Anche questo è il federalismo sanitario.