Gaia Scorza. La natura metropolitana offre anche altri esempi di evoluzione dettata dall’ambiente cittadino, come il ragno ( Araneidae) studiato a Vienna, “predatore” notturno capace di agire al buio, eppure sempre più propenso a scegliere luoghi vicino a lampioni e altre luci artificiali pur di costruire le sue ragnatele dove gli insetti pullulano perché attratti. Così come le falene, a loro volta, che in alcune città sembrano avere sviluppato una resistenza alla luce delle lampadine.
Mentre a Porto Rico alcune lucertole hanno modificato le loro zampe per avere una presa migliore, tale da potere scalare le superfici “lisce” come l’asfalto. E se finora i biologi hanno rivolto la loro attenzione soprattutto al fascino dei mutamenti studiati nella natura selvaggia e incontaminata, questa nostra giungla in continua (e rapida) evoluzione, in realtà, offre spunti eccezionali per chi osserva gli animali e la loro capacità di adattamento agli habitat antropici. E con i ritmi di sviluppo imposti dall’urbanizzazione globale, c’è da giurare che anche l’evoluzione di queste specie avverrà sempre più velocemente.
Con i ritmi imposti dall’urbanizzazione ci sarà un’accelerazione nello sviluppo delle specie Anche le piante cambiano abitudini per sopravvivere all’ambiente circostante
SUL balcone o in giardino non è raro incontrare un merlo. Ormai è di casa. E come lui, il falco pellegrino e la poiana della Giamaica sono annoverati tra le specie che negli Usa hanno eletto la giungla urbana a residenza. Eppure il merlo di oggi è diverso dal suo antenato di duecento anni fa. Ha il becco più lungo, la voce più acuta ed è meno disposto a migrare. Caratteristiche legate alla capacità di adattarsi all’ambiente urbano, come la necessità di far sentire la propria “voce” al di sopra dei clacson. Non a caso, i merli europei mostrano di avere una risposta allo stress inferiore a quella dei loro omologhi della foresta. Un fattore che, secondo gli esperti, ha basi genetiche e potrebbe essere il risultato di specifiche pressioni selettive del contesto metropolitano cui i merli sono stati sottoposti. Come dire, ormai si sono abituati al caos.
E come il merlo sono tanti gli animali che hanno scelto la giungla di cemento per nidificare, inconsapevolmente capaci di adattarsi all’habitat meno confortevole del Pianeta tra smog e rumori. In modo sempre più rapido e con risultati sorprendenti, proprio perché la selezione naturale ha regole impietose. Una temperatura che può superare anche di 10 gradi quella delle aree circostanti non urbanizzate; il traffico che produce rumori assordanti; arredi urbani fatti prevalentemente di asfalto, vetro e ferro; oltre a un mix decisamente inospitale tra polveri sottili nell’aria e barriere architettoniche tali da limitare spesso le possibilità di movimento di qualsiasi essere vivente, flora e fauna. Un insieme di ragioni, insomma, che se non sono sufficienti a giustificare la fuga, risultano così “ostili” nell’impatto da obbligare a cambiare le abitudini di chi ci combatte ogni giorno. Così è la natura ad adattarsi, sempre più rapidamente. E i risultati sono attorno a noi.
Lo ricorda il biologo evoluzionista Menno Schilthuizen sul New York Times, citando il caso del topo dai piedi bianchi ( Peromyscus leucopus) che abita nei parchi newyorchesi divenuto più resistente ai metalli pesanti, probabilmente perché il suolo della megalopoli americana è pieno di cromo e piombo. In altri parchi, gli stessi topi — secondo uno studio condotto da Jason Munshi-Sud della Fordham University — hanno persino sviluppato un sistema immunitario più resistente, forse perché le malattie hanno una maggiore incidenza nei luoghi ad alta densità umana.
Come gli animali, anche le piante sembrano adattarsi con una tenacia spesso interpretata come invadenza. In Francia i ricercatori dell’Università di Montpellier si sono accorti che la
Crepis sancta (chiamata “radicchiella” dai botanici), quel fiore giallo che fa capolino anche dai nostri marciapiedi durante tutto l’anno e che di solito produce due tipi di semi — uno più leggero, in grado di essere trasportato dal vento, l’altro più pesante — ora ha rinunciato al primo tipo. Poco male, spiega Schilthuizen, perché quei semi dal peso più lieve pur viaggiando avrebbero meno chance di attecchire sull’asfalto, mentre il peso garantisce agli altri di trovare condizioni favorevoli vicino alle radici già esistenti. In sintesi, le piante più predisposte a produrre semi più pesanti sono state favorite dallo sviluppo urbano. Ecco perché questi fiori sono dappertutto, al punto che li consideriamo “erbaccia”: hanno trovato una ricetta di sopravvivenza.
Repubblica – 26 luglio 2016