Un tempo c’era il contratto nazionale penne, spazzole e pennelli (e c’è ancora). Oggi c’è il contratto per il facility management, l’attività che cura la gestione e la conduzione degli immobili e dei loro impianti, ma anche il contratto dell’emotional manager, che raccoglie esperti per la crescita della motivazione sul lavoro; e da ultimo quello dei codisti, coloro che sbrigano pratiche per conto delle aziende presso terzi.
Ma quanti sono i contratti collettivi nazionali di lavoro (Ccnl)? All’inizio del 2008 un’analisi dell’archivio dei contratti del Cnel rivelava un numero molto grande: 398 accordi nei diversi settori economici tra quelli in vigore e quelli in attesa di rinnovo. Già allora erano considerati troppi e quindi da ridurre. Ma nel frattempo però il sistema delle relazioni industriali è andato in direzione opposta. A marzo 2015 una ricognizione analoga curata da Gabriele Olini dell’Ufficio studi nazionale della Cisl è arriva a contarne ben 706, alla faccia della riduzione e della semplificazione. In sette anni c’è stata una vera esplosione. La fonte è sempre la stessa, e i ricercatori non escludono che ci possano essere addirittura dei buchi. «Un limite – sottolineano i ricercatori – è forse il fatto che i Ccnl vengono contati e non pesati; non vi è, infatti, al momento disponibilità di dati omogenei sulla platea di imprese e occupati interessati ai diversi contratti». Ma il fatto c’è: il numero dei Ccnl è cresciuto, passando da 398 a 706: un aumento di 308 accordi, il 77,6% in più.
La crescita è avvenuta dappertutto. Le variazioni più forti sono quelle della metalmeccanica (da 6 a 20 i Ccnl riconducibili al settore secondo la classificazione Istat), con una crescita del 233%, e quella delle costruzioni (da 10 a 32), con una crescita del 220%.
Nel commercio l’aumento è stato del 152% (da 27 a 68 accordi nazionali); nei servizi alle imprese, cui sono oggi attribuibili 71 Ccnl, la crescita è del 154% e in agricoltura, passata da 17 a 42, è stata del 147%. Se si raffrontano i contratti al numero degli occupati dipendenti, nel 2008 la platea potenziale media per ogni contratto era nel totale delle attività di circa 47 mila; la situazione al 2015 è scesa a poco più di 25 mila unità, frutto di una polverizzazione selvaggia. La Cisl è il sindacato che firma il maggior numero dei Ccnl registrati al Cnel: si tratta di 272 intese, di cui 191 nei servizi, privati e pubblici, 62 nell’industria, 10 in agricoltura e pesca e 5 nelle costruzioni. Seguono la Uil con 263 Ccnl e poi la Cgil con 252. Cgil, Cisl e Uil firmano insieme unitariamente 243 Ccnl, poco più di un terzo del totale dei contratti registrati al Cnel. Sono invece 279 i contratti firmati da almeno una delle tre confederazioni. Dei 706 Ccnl conosciuti dall’archivio Cnel, 110 sono riconducibili alle Associazioni facenti capo a Confindustria, considerando non solo i contratti firmati con Cgil, Cisl e Uil, ma anche quelli con altri sindacati. Dopo la Confindustria, con 39 Ccnl vi è la Confcommercio, l’associazione dei datori di lavoro con il maggior numero di contratti collettivi nazionali concentrati nel terziario, mentre sono 28 i Ccnl dell’Aran, l’agenzia per la rappresentanza negoziale delle Pubbliche amministrazioni. La lezione che si trae dalla ricerca è quella di una frantumazione di sigle sindacali e datoriali, spesso senza peso né rappresentatività. Urge una sforbiciata e il lancio della contrattazione decentrata di secondo livello.
La Stampa – 7 settembre 2015