FINO agli anni Ottanta era lo spettro delle famiglie. Una colica notturna, la corsa in ospedale e la chirurgia di urgenza. Ma non scherzavano nemmeno, come motivo di apprensione, le febbri frequenti con mal di gola seguite dalla visita dall’otorino e infine dall’operazione, il cui buon esito era certificato da grandi scorte di gelato sistemate nel frigo.
Oggi le cose sono cambiate: appendicite e tonsille infiammate non fanno più così paura perché capita sempre meno spesso che siano operate. Ci sono nuovi modi di diagnosticarle e curarle. Gli interventi per rimuoverle diventano vintage. La medicina negli ultimi anni ha vissuto una crescita di conoscenze tale da rivoluzionare la chirurgia. In certi casi non si opera più, in altri si fanno interventi molto meno invasivi. Basti pensare a quello per rimuovere la colecisti, ormai quasi sempre in laparoscopia e con uno o due giorni di ricovero. Riguardo all’appendicite, i casi sono molto calati grazie alle tecniche diagnostiche che permettono di capire quando intervenire. Un tempo non si voleva rischiare e di fronte ad un paziente con una infiammazione e nell’impossibilità di fare molti approfondimenti, si entrava in sala. In Italia oggi si fanno circa
60mila operazioni di questo tipo all’anno ma i numeri degli anni Ottanta sono sconosciuti. La situazione comunque non è molto diversa dalla quella della Francia, dove in una trentina d’anni, fino al 2012, si è passati da 300mila operazioni a 83mila. Un calo del 72%. Oltre alla diagnostica più raffinata, giocano un ruolo importante gli antibiotici, grazie ai quali si cura l’infiammazione che provoca coliche almeno una volta nella vita a circa il 7% delle persone. Vincenzo Blandamura, primario della chirurgia d’urgenza del Sant’Eugenio di Roma, ha raccontato che trent’anni fa al pronto soccorso si faceva un intervento di appendicite al giorno mentre «oggi è molto più rara: nella maggior parte dei casi si fa la terapia farmacologica».
Un altro intervento diventato vintage è quello su tonsille e adenoidi. Lo conferma Giovanni De Vincentiis, che dirige l’otorino del Bambin Gesù di Roma. «Fino a 10-12 anni fa facevamo 1.500 interventi l’anno, oggi siamo a 800. Un dato italiano generale non c’è ma negli Usa dagli anni Cinquanta ad oggi sono scesi da un milione e mezzo di operazioni a mezzo milione». Perché questo calo? Un tempo si temevano complicanze reumatiche legate a un batterio, lo streptococco, che può aggredire le articolazioni, il cuore, i reni e gli occhi. «L’uso di antibiotici ci ha aiutato — prosegue De Vincentiis — Adesso si interviene soprattutto quando tonsille e adenoidi causano disturbi del sonno».
Era la fine degli anni Settanta quando Umberto Veronesi insegnò a tutti che la mastectomia totale, per il tumore alla mammella, in molti casi non era necessaria. Poi la crescita degli screening e la sensibilizzazione delle donne riguardo ai controlli hanno anticipato le diagnosi, mentre la chemio e la radio sono diventate armi più efficaci. «Oggi la rimozione totale della mammella avviene in circa il 25% dei casi — spiega Luigi Cataliotti, coordinatore di Senonetwork, una onlus che raccoglie i centri di senologia italiani — E grazie alla diagnosi precoce è cambiato l’approccio e gli interventi sono meno invasivi e mirati».
Repubblica – 28 aprile 2014