Il direttore generale dell’Usl 9 Claudio Dario: «200mila euro l’anno per ogni paziente “condannato”, sproporzionati ai benefici»
«Con questa crisi tra pochi anni sarà difficile giustificare all’esterno, soprattutto a quelle famiglie che non riescono ad arrivare a fine mese, che si possono spendere anche oltre 200 mila euro all’anno per pagare le cure di un solo paziente che magari ha davanti a se poche settimane di vita».
È questo l’allarme choc lanciato ieri dal direttore generale dell’Usl 9, Claudio Dario, dal convegno “Il governo della spesa del farmaco” organizzato all’ospedale Cà Foncello. L’argomento è delicatissimo. Cosa è possibile fare? «La vita umana viene prima di tutto» ha ribadito il direttore dell’Usl 9, ma è anche imperativo categorico tagliare da subito la spesa per l’acquisto di medicinali e dispositivi. Magari convincendo anche le aziende farmaceutiche a riconsiderare i prezzi dei farmaci per i malati terminali: «Sproporzionati al beneficio che possono dare a chi purtroppo a pochi mesi di vita».
Nell’azienda sanitaria trevigiana la spesa complessiva è pari a circa 142 milioni di euro all’anno (48 milioni spesa farmaceutica convenzionata, 52 quella ospedaliera e 41 per i dispositivi), fetta dei 1,4 miliardi annui su base regionale. Qualche passo l’Usl 9 l’ha già fatto. Alla fine del 2010 ha potenziato il servizio “Erogazione diretta da sportello” a cui oggi si rivolgono almeno 60 pazienti al giorno per un risparmio di 32 mila euro al mese. L’introduzione rapida dei farmaci a brevetto scaduto, poi, i cosiddetti “generici”, ha portato un risparmio di circa 90 mila euro al mese.
A tutto ciò si aggiunge l’avvio di uno studio ad hoc per «l’appropriatezza d’impiego dei dispositivi medici» che dal 2010 al 2011 ha fatto scendere gli ordinati del 3,3 per cento e, di pari passo, i ricoveri (dai 50.383 del 2010 ai 46.967 del 2011). Infine, c’è lo sviluppo del laboratorio di galenica, per «farsi i farmaci in casa», che produce mille medicinali personalizzati consentendo di ottimizzare le necessità per un’economia di 500 mila euro sul prezzo di mercato e addirittura un’entrata di 50 mila euro all’anno derivante dalla produzione per altre Usl.
Il conto totale del risparmio arriva così a circa 2 milioni all’anno. Senza contare l’introduzione della figura del «farmacista di reparto», da sviluppare, che farebbe balzare il totale a quasi 3 milioni. «Il risultato è stato quello ridurre del 10,5 per cento la spesa pro capite tra il 2010 e il 2011, pari a circa 120 euro per cittadino – tira le somme Dario – e ci sono ancora dei margini di miglioramento nella spesa per farmaci a brevetto scaduto così come in quella farmaceutica ospedaliera». Avanti così, insomma.
L’oncologo: «Bisogna dire ai familiari che a volte è meglio sospendere le cure»
Orlando, d’accordo con l’allarme del direttore generale dell’Asl sui malati terminali: «E il costo di alcuni farmaci è eccessivo»
TREVISO – «Siamo assolutamente d’accordo con l’allarme lanciato da Claudio Dario: spesso ci sono malati in fase terminale sottoposti a cicli di cure con farmaci che alla fine sono semplicemente inutili. Anche perché i medici faticano a dire alle famiglie e agli stessi pazienti che oltre a un certo punto non serve andare e che, anzi, è meglio concentrarsi sulla qualità della vita». Il punto di vista di Antonio Orlando, uno degli oncologi più famosi della Marca, responsabile sanitario dell’Advar, associazione che ospita e assiste malati di tumore in stadio avanzato, è precisamente in linea con le preoccupazioni espresse dal direttore generale dell’Usl 9.
«Con queste difficoltà economiche tra poco sarà difficile giustificare, soprattutto a chi fa fatica a sbarcare il lunario, che si possono spendere anche oltre 200 mila euro l’anno per pagare le cure di un solo paziente – ha detto chiaro e tondo prendendo il microfono al convegno “Il governo della spesa del farmaco” – . Un paziente che magari non ha davanti a sé che poche settimane di vita». Nessuna porta aperta a scelte drastiche, beninteso, semmai la necessità «di essere certi dell’efficacia dei trattamenti che si vanno a fare per utilizzare al meglio le risorse». Quello che non serve, insomma, non serve. Il paradigma, però, per essere valido deve essere prima interiorizzato dagli stessi medici che, a quanto sembra, invece di guardare alle cure palliative, spesso prescrivono l’uso di farmaci ad alto costo a chi ha aspettative di vita risicatissime.
«Invece si deve avere il coraggio di dire basta prima delle ultime settimane o degli ultimi giorni: negli ultimi 3 mesi si deve pensare alla qualità della vita – spiega l’oncologo – ma serve preparazione, tempo e luogo adatto per spiegare alle famiglie che i farmaci non sono più utili. E così capita che per i dottori sia molto più semplice continuare a fare cicli che fermarsi».
In questo contesto delicatissimo, poi, si inserisce anche la questione della spesa. Somme monstre per risultati minimi se non addirittura per nulla. E parlare con le case farmaceutiche «per trattare il costo di medicinali che consentono un modesto incremento della qualità e della durata della vita», come suggerisce Dario, non è una passeggiata.
«Bisogna dedicare molta attenzione ai colloqui per spiegare alla famiglia e al malato terminale che, se altrove promettono di continuare le cure vendono false speranze, tra l’altro con procedimenti sperimentali e ancora più costosi – conclude Orlando – è necessario fare molta strada sul piano della comunicazione perché i costi sono alti per le strutture sanitarie ma lo sono ancora di più per le famiglie».
Gazzettino – 17 maggio 2012