Il vicepresidente Tajani «C’è il tempo per risolvere ogni nodo residuo, abbiamo un dialogo aperto con tutti i Paesi sulla normativa cruciale per le imprese»
L’Italia resta una sorvegliata speciale sui pagamenti della Pa. Per ora l’apertura di una procedura d’infrazione a causa di alcune presunte lacune nell’applicazione della direttiva sui tempi di pagamento non è ancora prevista, ma la guardia dell’Ue resta alta. «Valuteremo bene la posizione dell’Italia», ha spiegato ieri il vicepresidente della Commissione Ue con delega all’industria, Antonio Tajani, giunto a Roma per un convegno organizzato da Euractiv sui fondi europei. Tajani non si è voluto sbilanciare troppo, ma ha fatto capire che molto probabilmente ci sarà bisogno di ulteriori approfondimenti: «Per ora – avverte il vicepresidente dell’Esecutivo Ue – posso dire che la risposta che ci è arrivata alle nostre richieste di chiarimento, almeno nella parte relativa al mancato trattamento delle prassi gravemente inique nei pagamenti, non mi pare sufficiente». Tajani ha però tenuto a precisare che ci sono 10 settimane prima dell’apertura formale di una procedura d’infrazione: «C’è il tempo per risolvere ogni eventuale nodo residuo, noi abbiamo un dialogo aperto con tutti i Paesi su questa direttiva che è cruciale per le imprese».
La risposta dell’Italia alle richieste di chiarimento della Commissione Ue su alcune norme del Dlgs 192/2012 che ha recepito la direttiva che fissa un termine di 30 giorni per i pagamenti alle imprese è arrivata mercoledì a Bruxelles, rispettando la scadenza che era stata fissata per ieri. Una risposta, quella fornita dal Dipartimento per le politiche europee di Palazzo Chigi (anticipata ieri dal Sole 24 Ore), che ora sarà studiata dai tecnici di Bruxelles per verificare – dopo l’apertura della procedura pilota – se si può archiviare il dossier oppure si deve procedere, entro novembre, con l’apertura della procedura d’infrazione. Procedura che a esempio è stata già avviata contro Belgio e Germania.
Nel mirino dell’Ue sono finite in particolare due norme del decreto italiano di recepimento che secondo Bruxelles non sarebbero in linea con la direttiva. E cioè: la deroga che consente alle pubbliche amministrazioni di prorogare da 30 a 60 giorni i termini di pagamento quando ciò è giustificato non solo dalla natura o dall’oggetto del contratto ma anche «dalle circostanze esistenti al momento della sua conclusione». Clausola, questa, che secondo Bruxelles rischia di diventare una scappatoia generalizzata per allungare i tempi di pagamento della Pa. E poi il mancato trattamento delle cosiddette «prassi gravemente inique». Sul primo punto l’Italia ha risposto di aver previsto una norma “riparatrice” (l’articolo 21 comma 3) nella legge europea bis già esaminata nel Consiglio dei ministri del 20 settembre. La norma in sostanza ricalca la formula contenuta all’interno della direttiva pagamenti (le parole «o dalle circostanze esistenti al momento della sua conclusione» sono sostituite con «o da talune sue caratteristiche»). Nello stesso Ddl – fa sapere Palazzo Chigi – sono state tra l’altro anche inserite delle norme (i primi due commi dell’articolo 21) che ribadiscono come i nuovi tempi di pagamento siano validi anche per i lavori pubblici (su questo, in realtà, il ministero dello Sviluppo economico aveva già fatto una circolare).
Sul secondo punto invece l’Italia – in base a un parere del ministero della Giustizia allegato alla missiva di risposta a Bruxelles – ha fatto sapere che non c’è bisogno di introdurre nel nostro ordinamento un regime di nullità per le prassi gravemente inique sui termini di pagamento perché possono già essere disapplicate dal giudice quando si pongono in contrasto con norme inderogabili che sono espressione di valori e principi fondamentali. Una risposta, questa, che secondo il vicepresidente della Commissione Ue, Antonio Tajani, a prima vista «appare insufficiente».
Il Sole 24 Ore – 6 ottobre 2013