Niente «anticipi» di flessibilità europea nel Def che andrà oggi in consiglio dei ministri insieme al Programma nazionale di riforme (Pnr), e che a meno di sorprese dell’ultima ora confermerà per l’anno prossimo l’obiettivo di far scendere il deficit strutturale all’1,2% dal 2,2% in calendario quest’anno grazie alla manovrina correttiva. Manovrina che approderà anch’essa oggi sul tavolo del governo, sotto forma di un maxi-decreto (come anticipato sul Sole 24 Ore di domenica) che includerà anche le misure su fisco, crescita, terremoto ed enti locali. A completare il ricco ordine del giorno della riunione di oggi c’è poi il via libera definitivo al decreto correttivo del Codice appalti, che rivede la riforma dell’anno scorso intervenendo su appalti integrati, progettazione, partenariato pubblico-privato e così via.
Def e manovrina, insomma, vanno a braccetto per tracciare la linea dei nostri conti pubblici quest’anno e nei prossimi tre. Per il momento, la crescita di quest’anno dovrebbe rimanere indicata all’1%, senza ritocchi all’insù rispetto alle ultime stime ufficiali, perché i segnali positivi nel primo trimestre non mancano ma la manovrina di aggiustamento da 3,4 miliardi rischia di avere un mini-effetto depressivo. A determinarlo sarebbe soprattutto la parte dei tagli alla spesa dei ministeri, che si attesterebbero a 6-700 milioni. Accanto alle misure fiscali e a quelle del «pacchetto sviluppo», con la norma acchiappa-fondi e le novità su credito e iperammortamento, il decreto ospiterà anche un correttivo del piano pensioni: si tratterà di una limatura all’Ape sociale, quello riservato ai titolari di bassi redditi e ai disoccupati di lungo corso, per estendere da sei a sette anni la franchigia per i lavori «gravosi».
La conferma delle dinamiche di crescita previste dal governo a settembre non cancella però la speranza di fare meglio, soprattutto grazie a una serie di misure che il Pnr indicherà per spingere il Pil. In prima linea ci saranno la decontribuzione triennale per gli under 35 al primo impiego, le agevolazioni per i “secondi redditi” famigliari (il cosiddetto piano occupazione-donna), le semplificazioni per la giustizia civile, il rilancio della concorrenza, con l’obiettivo di mettere in calendario un decreto legge dopo aver concluso il (troppo) lungo cammino dell’attuale disegno di legge, e una nuova spinta agli investimenti pubblici: spinta già tentata in questi anni senza i successi attesi. Fra i programmi, poi, c’è anche il restyling del reddito di inclusione anti-povertà.
Il Documento confermerà l’impegno del governo a sterilizzare per un altro anno le clausole di salvaguardia che dovrebbero portare 19,5 miliardi di gettito annuo in più con l’aumento delle aliquote Iva dal 10 al 13% e dal 22 al 25 per cento. Proprio qui, ancora una volta, si concentrerà una grossa fetta dello sforzo da mettere in campo con la manovra d’autunno, la cui entità complessiva dipenderà però dal risultato finale delle trattative con Bruxelles sui nuovi margini di deficit utilizzabili il prossimo anno. L’1,2% in via di conferma nel Def, infatti, rappresenta infatti solo una mossa temporanea, con la speranza di ottenere dalla Commissione la possibilità in autunno di far salire il target verso l’1,8-2 per cento con la Nota di aggiornamento al Def (Nadef).
Quello sarà il Documento decisivo per le scelte di politica economica da mettere in campo prima delle elezioni, ma già il Def in arrivo oggi ha acceso il dibattito politico di queste settimane. Al centro ci sono stati soprattutto due temi: la riforma del Catasto, che dopo lo stop bipartisan alle ipotesi circolate nei giorni scorsi dovrebbe uscire dal Pnr, e le privatizzazioni, che invece dovrebbero rimanere nel Def anche perché rappresentano lo strumento principale per provare a far innescare la retromarcia al nostro debito pubblico. Viste le polemiche accese di questi giorni, però, a differenza dei programmi dettagliati (e inattuati) nel Def dello scorso anno il nuovo capitolo non sarà troppo dettagliato: la stima dei proventi dovrebbe abbassarsi fra i 5 e i 6,5 miliardi, contro gli gli 8 miliardi abbondanti (cinque decimali di Pil) calcolati in passato ma non realizzati.
IL Sole 24 Ore – 11 aprile 2017