Breaking news

Sei in:

Dipendenti pubblici, con la mobilità tagli agli stipendi. Diffuso il testo definitivo del decreto che stabilisce le nuove regole e le modalità dei “passaggi”. Il caso Province

I confini per le garanzie per gli stipendi dei dipendenti pubblici che cambieranno comparto si fanno più precisi, ma non arriva la tutela integrale della busta paga “originaria” chiesta dai sindacati.

Dopo la registrazione da parte della Corte dei conti, la Funzione pubblica ha diffuso il testo definitivo del decreto con le «tabelle di equiparazione» per la mobilità fra i comparti del pubblico impiego, indispensabile per regolare i passaggi da un settore all’altro della Pa e quindi per avviare un capitolo centrale della riforma delle Province: quello che per ricollocare 7-8mila dipendenti «in soprannumero» prevede di spostarli in aree disciplinate da contratti diversi da quello di Regioni ed enti locali (a questi ultimi dovrebbero andare invece circa 10mila persone, in particolare chi lavora nella polizia provinciale e nei centri per l’impiego). La questione riguarda “solo” la mobilità «non volontaria», che rappresenta però il grosso degli spostamenti in programma nella Pa proprio per l’esigenza di alleggerire gli organici delle Province; per quella volontaria, che ogni anno riguarda una manciata di dipendenti, non c’è discussione, nel senso che chi chiede di spostarsi accetta il trattamento della Pa di destinazione.

Il punto più delicato, che in occasione del primo confronto in primavera aveva acceso le accuse sindacali sulla volontà del Governo di introdurre «tagli d’ufficio agli stipendi», si incontra all’articolo 3 del provvedimento. Rispetto alle bozze iniziali, il testo spende qualche parola in più sulle garanzie stipendiali per la mobilità, ma non modifica la sostanza del meccanismo: il dipendente che si sposta in un comparto pubblico diverso da quello di appartenenza, e che nel suo posto di lavoro ha uno stipendio superiore a quello previsto nella nuova destinazione, manterrà il trattamento fondamentale e accessorio «limitatamente alle voci con carattere di generalità e natura fissa e continuativa».

Un sistema di questo genere si spiega anche con l’impossibilità di replicare voci stipendiali che nella nuova organizzazione perderebbero di senso. Sarebbe difficile, per esempio, giustificare un’indennità di «posizione organizzativa» o per «specifiche responsabilità» a chi nell’ente di provenienza svolgeva un ruolo di direzione che nella nuova amministrazione non trova corrispondenza (il nuovo testo introduce un paracadute in più per le «progressioni di carriera legittimamente acquisite»). I nodi, però, non finiscono qui.

La garanzia per le voci fisse e continuative, spiega il decreto, si attiva «nei casi in cui sia individuata la relativa copertura finanziaria, ovvero a valere sulle facoltà assunzionali». Tradotto, significa che l’ente di destinazione dovrà finanziare con i propri fondi integrativi il trattamento accessorio da mantenere al nuovo dipendente: è importante la precisazione in base alla quale alla bisogna potranno servire gli spazi liberati dal turn over, che dopo l’ultima manovra sono in pratica riservati al riassorbimento degli esuberi delle Province, ma in più di un caso le amministrazioni di destinazione potrebbero dover redistribuire le stesse risorse di oggi su una platea accresciuta.

C’è poi un terzo aspetto caldo: anche nei casi in cui scattasse la tutela completa sullo stipendio attuale, le voci in più rispetto a quanto previsto per il nuovo inquadramento confluirebbero in un «assegno ad personam, riassorbibile con i successivi miglioramenti economici». La norma serve a evitare la corsa all’aumento strutturale della spesa negli enti che accolgono nuovo personale ma, visto che non si può certo prevedere una dinamica vivace per i prossimi rinnovi contrattuali pubblici, il meccanismo finirebbe per congelare a lungo le buste paga.

La questione fondamentale, che può produrre battaglie di carta bollata in tutti i casi di stipendi a rischio, nasce dal fatto che la riforma delle Province prevedeva un meccanismo diverso: in caso di mobilità, spiega infatti il comma 96 della legge Delrio, il dipendente in uscita delle Province si sarebbe dovuto portare dietro «le corrispondenti risorse» necessarie a garantirgli «il trattamento economico fondamentale e accessorio in godimento all’atto del trasferimento». Questo “zainetto”, inserito a suo tempo proprio per ottenere l’ok sindacale alla riforma, è stato “superato” dagli eventi anche perché, come spiegato qualche mese fa in una nota diffusa dalla Funzione pubblica, anche alla luce dei tagli miliardari chiesti alle Province dalla manovra «il trasferimento di personale non comporta trasferimento di risorse finanziarie»; e la stessa impostazione si incontra anche nelle bozze del decreto sui criteri generali della mobilità (anticipato sul Sole 24 Ore del 15 luglio), che riguarda anche chi si sposterà senza cambiare contratto pubblico. Se però la legge e i decreti ministeriali parlano due lingue diverse, il conflitto è dietro l’angolo soprattutto quando si parla di stipendi.

Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore – 8 settembre 2015 

site created by electrisheeps.com - web design & web marketing

Back to Top