di Roberto Mania. Otto emendamenti blindano il decreto lavoro. Governo e maggioranza hanno raggiunto l’accordo ieri al Senato. Rientra la polemica tra il Nuovo centro destra e il Partito democratico. Il provvedimento, che liberalizza il ricorso ai contratti a termine e semplifica l’uso dell’apprendistato, dovrebbe essere votato dall’aula di Palazzo madama tra giovedì e venerdì (potrebbe non essere necessaria la fiducia anche se il M5S ha presentato circa 600 emendamenti con un chiaro intento ostruzionistico), poi il decreto dovrà tornare alla Camera per essere convertito entro il 19 maggio. Non viene intaccato l’impianto del provvedimento, ma inserite alcune modifiche. In particolare salta l’obbligo a carico dell’azienda di assumere stabilmente i lavoratori che superino la quota consentita del 20 per cento di contratti a termine rispetto all’organico complessivo.
Ci sarà una sanzione pecuniaria. Era una richiesta dell’Ncd alla quale il Pd non si è opposto. «Sono tutti emendamenti che vanno nella direzione da noi auspicata», ha detto il presidente della Commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi. «Questo è il testo definitivo », ha detto la senatrice Annamaria Parente, capogruppo del Pd nella Commissione Lavoro.
La strada sembra dunque in discesa. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha definito le modifiche «un buon punto di mediazione» e ha auspicato una rapida approvazione del decreto. Un sostanziale e significativo via libera è arrivato anche dal presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, esponente dell’area laburista del Pd e capofila del gruppo di parlamentari del Pd che a Montecitorio aveva imposto una serie di cambiamenti al testo originario presentato dal governo e non condivise dalle forze di centro destra della coalizione. Restano comunque alcuni dissenzienti nella sinistra del Pd: Stefano Fassina, già vice ministro dell’Economia nel governo Letta ha parlato di «passi indietro » e ha chiesto di riaprire la discussione. Restano, pure, le critiche dei sindacati. E anche, per evidenti ragioni elettorali, lo scontro a destra tra Forza Italia e gli scissionisti di Alfano. Silvio Berlusconi ha detto che il Jobs Act di Renzi «è diventato il Cgil Act». Ma in realtà il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, ha confermato le sue critiche all’impostazione dell’esecutivo: «Non serve l’ennesima riforma del mercato del lavoro, bensì decidere come si investe, verso quali settori si guarda, con quali politiche si immagina quello che deve essere il modello di sviluppo dell’Italia».
CONTRATTI A TERMINE
Quello concordato ieri non è un ritorno al decreto originale del governo ma effettivamente una mediazione tra il testo approvato alla Camera e le richieste dei partiti di centro destra. Rimane fissata fino a 36 mesi la durata massima di un contratto a termine senza la specificazione della causale, e viene confermata la possibilità di cinque proroghe (erano otto nella versione originaria).
La maggiore novità rispetto al testo, passato a Montecitorio con il voto di fiducia nonostante la contrarietà degli alfaniani e di Scelta civica, riguarda la sanzione a carico dell’imprenditore che supera la quota del 20 per cento dei contratti a tempo determinato. Dunque non più l’obbligo di assumere i lavoratori eccedenti il tetto bensì una multa pari al 20 per cento dello stipendio del ventunesimo contratto a tempo determinato per tutta la sua durata. Sanzione che cresce fino al 50 per cento per i contratti successivi al ventunesimo. Esclusi dal vincolo del 20 per cento le micro-imprese con meno di cinque dipendenti e pure gli enti di ricerca. Secondo il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, si tratta «di un emendamento bizzarro». In questo modo — ha spiegato il sindacalista — sarà difficile aprire la strada alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro. «Quando un’azienda sbaglia — ha aggiunto — la vera sanzione è obbligarla ad assumere a tempo indeterminato proprio perché il suo obiettivo è evadere da questa situazione». Positivo invece il commento della Confcommercio che però ha chiesto una riduzione della sanzione pecuniaria.
CONTRATTO DI APPRENDISTATO
Per i contratti di apprendistato, l’innovazione più significativa riguarda l’obbligo dalla stabilizzazione del 20 per cento degli apprendisti per poter ricorrere a nuovi contratti. Saranno vincolate le aziende con 50 dipendenti e oltre, con un innalzamento della soglia rispetto ai 30 dipendenti previsti dal testo varato dalla Camera.
Si potranno pure stipulare contratti di apprendistato stagionali. E sempre per i contratti di apprendistato (mix tra lavoro e formazione) si stabilisce che la responsabilità della formazione è esclusivamente regionale con la possibilità che si possa svolgere in azienda purché seguendo le linee di indirizzo stabilite dall’ente regionale. Entro 45 giorni dalla stipula del contratto la Regione dovrà comunicare al datore di lavoro «sedi e calendario delle attività previste, avvalendosi anche delle imprese e delle loro associazioni». (Repubblica – 3 maggio 2014)
Decreto lavoro, il governo lima le «rigidità». Solo una sanzione per chi non assume i precari
Accordo tra governo e maggioranza sulle modifiche al decreto lavoro: concordati 8 emendamenti al testo. Sui contratti a termine previste sanzioni solo pecuniarie: salta l’obbligo di assunzione se si supera il tetto del 20%. Sull’apprendistato vincoli solo oltre 50 dipendenti. Rinnovato l’impegno per il il contratto a tutele progressive.
La quota del 20% di stabilizzazione obbligatoria di apprendisti (quale condizione per assumerne di nuovi) si applicherà alle imprese che superano i 50 dipendenti (e non più alle aziende con oltre 30 dipendenti). Sarà possibile utilizzare il contratto di apprendistato «anche a tempo determinato» per lo svolgimento di attività stagionali (ma a patto che regioni e province autonome abbiano definito un sistema di alternanza scuola-lavoro, sul modello del sistema duale tedesco). E si “ammorbisce”, per le imprese, la sanzione della stabilizzazione se si supera il nuovo limite del 20% di utilizzo dei contratti a termine. Ora si pagherà un indennizzo economico pari al 20% della retribuzione se lo “sforamento” è fino a un lavoratore, che sale al 50% della retribuzione se la violazione del tetto riguarda più di un lavoratore a termine.
Il governo ha confermato l’impegno di modificare il decreto Poletti e ieri in commissione Lavoro del Senato il sottosegretario Luigi Bobba ha presenta otto emendamenti, concordati con i partiti di maggioranza, per correggere alcune criticità su contratti a termine e apprendistato introdotte dalla Camera. In totale sul provvedimento (che va convertito in legge entro il 19 maggio) sono piovuti circa 700 emendamenti (più della metà da parte del M5S). Anche Fi ha presentato modifiche al dl (tra le richieste spicca l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per le imprese che assumono a tempo pieno e indeterminato inoccupati e disoccupati di lunga data).
Ma la notizia di ieri, dopo le fibrillazioni dei giorni scorsi tra Pd, Ncd e Sc, è stato l’accordo raggiunto tra maggioranza e governo: «Un risultato importante – ha sottolineato il relatore e senatore di Sc, Pietro Ichino – che consente di recuperare l’ispirazione originaria del decreto-legge collegandone i contenuti alla prospettiva di una riforma organica che verrà con il codice semplificato del lavoro e l’introduzione del contratto a tempo indeterminato a protezioni crescenti». Soddisfatto anche il presidente della commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi (Ncd): «Abbiamo un pò riportato l’asse delle nuove norme verso le ragioni dell’impresa». Il provvedimento ora «è più che definitivo – evidenzia la capogruppo Pd in commissione Lavoro di palazzo Madama, Annamaria Parente -. Ci aspettiamo che la maggioranza sia coerente e sostenga gli emendamenti del governo perchè non è più tempo di mettere delle bandierine».
Il voto su tutte le proposte di correzioni al decreto legge 34 inizierà in commissione Lavoro lunedì (il dl è atteso in Aula martedì). L’esecutivo è fiducioso: «Le modifiche presentate ieri sono un buon punto di mediazione», ha detto il ministro, Giuliano Poletti, che ha auspicato quindi «una rapida approvazione del testo».
Con i suoi emendamenti l’esecutivo si impegna ad adottare un testo unico semplificato della disciplina dei rapporti di lavoro con la previsione in via sperimentale del contratto a tutele progressive. Si chiarisce poi che il diritto di precedenza (nelle assunzioni) «deve essere espressamente richiamato nel contratto» (non serve quindi un documento aggiuntivo). Per chi supera il tetto del 20% di utilizzo dei contratti a termine scatterà, come detto, una sanzione pecuniaria (in luogo della trasformazione) e i maggiori introiti che ne deriveranno andranno riversati al Fondo sociale per l’occupazione e formazione. Il governo specifica anche che il limite del 20% dei dipendenti non si applica ai contratti a termine stipulati nell’ambito di programmi di ricerca e di innovazione; e pure (e questo è un chiarimento molto atteso dalle categorie) che le nuove regole contenute nel dl non si applicheranno ai rinnovi dei contratti a termine in quanto non sono soggetti a limiti. I contratti collettivi potranno sempre stabilire regole più favorevoli al datore di lavoro.
Sul fronte poi dell’apprendistato il governo ripristina lo “stagionale”. La formazione di base nell’apprendistato professionalizzante resterà obbligatoria (per evitare i rilievi Ue). Ma le regioni dovranno indicare «sedi e calendario» delle attività previste e si potranno avvalere anche (in via sussidiaria) delle imprese e delle loro associazioni (se disponibili). Con un ordine del giorno, infine, si impegna il ministero del Lavoro a emanare una circolare interpretativa per “ammorbire” la sanzione sull’apprendistato in caso di inadempimento dell’obbligo di formazione. Al posto della stabilizzazione, ci sarà la conversione del rapporto in contratto a tempo determinato. (Il Sole 24 Ore – 3 maggio 2014)