
Previdenza. Dopo l’anno nero del Covid spesa sotto il 15% del Pil solo a partire dal 2055. Quanto pesano Quota 100 e mancati adeguamenti automatici dell’età
Il Sole 24 Ore. Il tramonto ormai certo di «Quota 100» spinge la previdenza a occupare un posto centrale insieme alla riforma fiscale nel dibattito d’autunno. Con una differenza: le indicazioni della legge delega sul fisco che il governo dovrebbe presentare a settembre avranno una traduzione pratica diluita nel tempo con i decreti attuativi, mentre le scelte sulle pensioni faranno sentire dal prossimo gennaio il proprio impatto. Sulla vita degli italiani, ma anche sulla politica che deve attutire il colpo di questo parziale ritorno al passato.
La polemica promette di infiammarsi con le solite dichiarazioni tuonanti (ieri il segretario della Lega Salvini ha promesso di schierare «i Tir all’ingresso delle autostrade» in caso di «ritorno alla Fornero», con toni piuttosto inediti per un partito di governo). Che però dovranno fare i conti con due vincoli. Uno politico e uno matematico. Intrecciati fra loro.
Il primo è di derivazione comunitaria. Perché le Raccomandazioni specifiche della commissione Ue per l’Italia, che sono parte integrante della griglia di condizioni dettate dalle regole del Recovery Fund, chiedono di «attuare pienamente le passate riforme pensionistiche al fine di ridurre il peso delle pensioni di vecchiaia nella spesa pubblica e creare margini per altra spesa sociale e spesa pubblica favorevole alla crescita». Cioè esattamente il «ritorno alla legge Fornero» (che non è mai stata abolita ma solo derogata in via «sperimentale») su cui si agitano i padri giallorossi di Quota 100 ora nella maggioranza a sostegno del governo Draghi.
Le indicazioni di Bruxelles nascono da ragioni matematiche dettagliate in modo puntuale nei ponderosi rapporti annuali che la Ragioneria generale dello Stato dedica alle «Tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario»: titolo significativo, perché la caratteristica delle regole sulle pensioni è di avere effetto nel lungo termine, su scenari appesi a prospettive di crescita incerte e a dinamiche demografiche allarmanti. E di essere, quindi, determinanti sulla sostenibilità di un debito pubblico portato dalla pandemia al record post-bellico.
Il colpo del Covid ha prodotto l’anno scorso anche il record nell’incidenza della spesa pensionistica, arrivata a un inedito 17,05% del Pil. Secondo i calcoli di Via XX Settembre in base alle proiezioni Istat, anche senza nuovi interventi (e quindi senza nuove alternative alla legge Fornero), la discesa sarà lentissima. Le uscite per le pensioni saranno al 16% del Pil fino al 2030, risaliranno al 16,4% fra 2040 e 2045, periodo di spesa record al netto dello shock 2020, per ricominciare con l’uscita di scena dei baby boomers una lenta flessione che le porterebbe solo nel 2055 al 14,6%, cioè a un livello analogo a quello registrato nel 2010. Il tutto, poi, a patto di centrare alcuni parametri come la previsione di un tasso di natalità in risalita dai minimi attuali e un flusso migratorio netto di circa 162mila persone l’anno. In uno scenario più critico, come quello ipotizzato dal Working Group on Ageing sulle stime Eurostat e approvato dal Consiglio europeo, il 2020 non sarebbe più l’anno record per la spesa pensionistica, che raggiungerebbe un nuovo picco del 17,2% nel 2035 per poi cominciare a scendere solo dopo il 2040.
Premesse come queste limitano in modo piuttosto drastico gli spazi di intervento, soprattutto per un governo che ha nel ritorno a un percorso sostenibile di debito pubblico uno dei propri compiti principali. Sul punto, la leva previdenziale è delicatissima, come mostrano sempre i dati della Rgs. Le misure della legge Fornero, secondo questi calcoli, hanno ridotto il peso della spesa pensionistica sul Pil di 20 punti in termini cumulati fino al 2060. Ma la manovra 2019 ha ridotto questo risparmio di 6 punti di Pil fino al 2043. Non solo per quota 100, che ha moltiplicato le possibilità di uscita, ma anche per il congelamento degli automatismi che adeguano i requisiti previdenziali alla speranza di vita: due misure in vigore per tre (quota 100) e otto anni (adeguamenti automatici), che però peggiorano i conti per un quarto di secolo. Se diventassero strutturali, ipotesi che però nemmeno i più appassionati fautori del pensionamento anticipato cullano davvero, aumenterebbero i costi di 12,5 punti di Pil fino al 2047.