Meno di tre ore. Tanto è durato il consiglio regionale di ieri, appendice fulminea della seduta di martedì che già aveva tenuto i consiglieri inchiodati in aula per un intero pomeriggio, all’incirca quattro ore. Un totale di 420 minuti, ma intensissimi, in cui il consesso ha passato in rassegna tutti i 43 punti all’ordine del giorno (media record di 9,7 minuti per punto), dalle pro loco alle sperimentazioni ospedaliere, dalle discariche alle concessioni idriche, via un voto dentro l’altro.
E’ il tramonto della legislatura, certo, ma il disinteresse generale si spiega anche col fatto che i consiglieri, specie quelli di maggioranza, hanno in testa un’unica preoccupazione: come uscire dalle sabbie mobili della legge Padrin, quella che impone retroattivamente il limite di due mandati.
L’argomento è delicatissimo, come dimostra la lite furibonda scoppiata martedì in giunta tra il governatore Luca Zaia e gli assessori Maurizio Conte, Elena Donazzan e Massimo Giorgetti, con questi ultimi ad accusare il primo di sostenere la legge che ne decreterebbe la morte (politica, per carità) e di andar dicendo in tivù di volere per la prossima legislatura «una squadra valida», quasi che quella che l’ha accompagnato in questi cinque anni fosse composta di soli «cialtroni» (citiamo un assessore). Ora, che Zaia intenda attuare un profondo turnover a Palazzo Balbi in caso di rielezione è cosa nota, specie tra gli uomini vicini al segretario della Lega Flavio Tosi e quelli legati cronologicamente e politicamente all’ormai compromessa Giunta Galan (a metterli tutti insieme sono 7 su 11). Una discontinuità che passerebbe anche dalla composizione della futura Lista Zaia, a cui vorrebbe accedere più di un assessore, per evitare di finire nel tritacarne delle liste di partito in caduta libera, ma che il governatore sta abbozzando con maglie sottilissime: passeranno solo i fedelissimi. E così nell’esecutivo è calato il gelo (nessuna telefonata distensiva ieri) ed il clima non sembra migliore tra i consiglieri di maggioranza, che si sarebbero dovuti vedere con Zaia martedì pomeriggio e poi di nuovo ieri mattina, senza riuscirci a causa di alcuni impegni in aula prima e nell’agenda del presidente poi. I mancati chiarimenti stanno alimentando i sospetti («Alla fine Zaia scaricherà ogni responsabilità su di noi, come al solito; dopo aver combinato il casino, se ne laverà le mani con il ritornello del “consiglio sovrano”. Vi ricordate la storia dei 30 consiglieri?») e difatti il vice presidente Marino Zorzato avverte: «Basta dietrologie. O si dice pubblicamente che la legge Padrin non s’ha da fare, oppure si viene in aula e si discute alla luce del sole». Ma proprio questo è lo scenario che più preoccupa Zaia: il florilegio di emendamenti, le maggioranze variabili, il rischio che passi il ballottaggio stile sindaci. In aula ci si deve andare comunque, per ritoccare la legge che oggi equivoca sul premio di maggioranza (va attribuito al presidente o alla coalizione?), generando il rischio «anatra zoppa», ma blindare l’aggiustamento tecnico approntato dalla giunta è impossibile. Affossare la legge Padrin con un parere di incostituzionalità dell’Ufficio legislativo? Il referendum sull’indipendenza è passato col niet di illustri studiosi della Carta.
E così l’opposizione ha gioco facile nell’ affondare la lama: «Vogliamo andare al vedo – dice il capogruppo del Pd Lucio Tiozzo – Zaia venga in consiglio e si voti. Dia seguito con i fatti all’atto di sfiducia mostrato verso i suoi assessori».
Marco Bonet – Il Corriere del Veneto – 16 ottobre 2014