La maggioranza degli intervistati ritiene non rappresentino giovani e precari L o scontro aspro sul tema del lavoro che ha caratterizzato le ultime settimane focalizzandosi sull’articolo 18 è stato interpretato da molti come una battaglia simbolica più che di contenuti (e così la pensano gli italiani, come è stato dimostrato dai dati del nostro sondaggio della scorsa settimana), con la quale il presidente del Consiglio apriva un fronte interno (lo scontro con la «vecchia guardia» del suo partito) e soprattutto un fronte esterno (lo scontro con i sindacati).
È allora interessante verificare quale sia il rapporto degli italiani in generale e dei lavoratori dipendenti in particolare con le rappresentanze sindacali.
Il primo tema inevitabile è relativo ai ceti che i sindacati rappresentano. Questo è un punto fortemente critico. Più di due terzi degli italiani pensa infatti che i sindacati non siano più in grado di rappresentare giovani, precari e dipendenti delle piccole aziende e che si siano ridotti, come in questi giorni si è detto da più parti, a rappresentare solo i garantiti (pensionati, dipendenti pubblici e di grandi aziende). Si tratta di una posizione fortemente condivisa dagli elettori Pd, ma anche dai lavoratori dipendenti, dove la percentuale di accordo arriva al 72%. Più convinti di questo risultano i dipendenti di aziende private (75%), meno i dipendenti pubblici (60%) che, d’altronde, erano direttamente chiamati in causa dalla domanda.
L’idea che in questi anni i sindacati abbiano consentito condizioni migliori ai lavoratori prevale di stretta misura (51% è d’accordo, 45% non lo è) e in questo caso sembra riprodurre la classica frattura politica: estremamente critici gli elettori di Forza Italia, più favorevoli gli elettori centristi e Pd. Ma colpisce l’atteggiamento dei lavoratori dipendenti che solo per il 46% riconoscono ai sindacati questo ruolo storico. In questo caso con una divaricazione ancora più netta tra i dipendenti privati (41%) e quelli pubblici (61%).
Un altro dei temi che ha accompagnato il dibattito sul ruolo dei sindacati è relativo ad una loro eccessiva politicizzazione, tema recentemente ripreso in occasione delle dimissioni del segretario della Cisl Bonanni. Su questo aspetto, il fatto cioè che il ruolo politico dei sindacati li abbia portati a non preoccuparsi a sufficienza di chi lavora, l’accordo è straordinariamente netto: 74% condivide questa affermazione, solo 24% la contesta. E questa posizione diventa quasi un plebiscito tra i lavoratori dipendenti: ben 82% è d’accordo e senza differenze apprezzabili fra pubblico e privato.Molti commentatori e analisti sottolineano il ruolo cruciale avuto dai sindacati in diversi momenti difficili del nostro paese e il ricordo di molti va agli accordi del ’92 con il governo Amato e soprattutto del ’93 con il governo Ciampi che viene citato come archetipo del metodo della concertazione e come episodio che ha salvato il paese dal baratro. Ma di questi momenti tra i cittadini rimane un ricordo sbiadito: solo 45% riconosce ai sindacati il merito di aver svolto un ruolo fondamentale in molti momenti critici della nostra storia, mentre per la maggioranza assoluta questo non è vero. Di nuovo in questo caso emerge netta la dicotomia tra dipendenti pubblici (51%) e privati (37%).
Ma alla fine per Renzi sembra rendersi necessario un accordo con i sindacati se vuole davvero arrivare in fondo con la sua riforma del mercato del lavoro. Lo pensa il 49% dei nostri intervistati (anche se una robusta minoranza, il 39%, pensa che riuscirà a procedere anche contro i sindacati). Queste proporzioni si ribaltano tra gli elettori del Pd che per il 57% pensano che Renzi ce la farà anche senza accordi. Le opinioni dei lavoratori dipendenti sono identiche alla media generale, ma ancora una volta con una netta spaccatura interna: sono i dipendenti privati a ritenere, assai più dei pubblici, che Renzi sarà costretto a trovare un accordo.
La priorità degli italiani è, oramai da tempo e sempre più intensamente negli ultimi anni, il lavoro. Ma contemporaneamente la fiducia nel sindacato si va contraendo (era il 48% nel 2006, oggi è scesa al 37%). Certo, da un lato è il fenomeno della disintermediazione per cui si tende ad eliminare i diversi gradi di rappresentanza. Ma dall’altro lato è forse davvero la perdita progressiva di rapporti con i lavoratori. Basti pensare che oggi (dati 2013) la maggioranza assoluta degli iscritti alla CGIL (52,5%) è formata da pensionati. Da questi dati e dai risultati del sondaggio odierno appare evidente la necessità di ripensare complessivamente la rappresentanza del mondo del lavoro e il suo rapporto con la politica. Anche perché, comunque sia, i sindacati sono una forza ancora imprescindibile del paese.
Il Corriere della Sera – 5 ottobre 2014