Carlo Bertini. Tutta questa aggressività di Chiamparino, la verve con cui il governatore del Piemonte ha condotto la sua battaglia contro il governo, ha fatto scattare un sospetto. I renziani temono che il «Chiampa» voglia porsi come figura di riferimento in chiave anti-premier, con lo sguardo proiettato avanti verso il congresso Pd che si terrà nel 2017.
Un sospetto che non sarà fugato dalla sua disponibilità ad andare alla Leopolda se fosse invitato. Prima dell’intesa col governo, la rabbia contro Chiamparino e i governatori il premier l’aveva sfogata martedì sera al chiuso dell’assemblea dei gruppi Pd. In quella sede – raccontano i presenti – senza mai citare il presidente del Piemonte, il premier ha intimato l’alt, «nessuno usi i malati per fare demagogia o campagna elettorale»: una bordata per far capire che un Leitmotiv non gli è andato giù. «Non mi facciano il ricatto che se non aumentiamo i fondi non riescono a dare a tutti i farmaci innovativi contro l’epatite C, anche perché questo tipo di politica vogliamo sostenerla. Insomma i soldi ci sono e non usino questo argomento per averne in più». E «prima di lanciare invettive pretestuose contro il governo si dica che non parliamo di tagli ma di incremento dei fondi. E cominciamo a guardare gli sprechi del sistema».
Ma al di là del merito la partita ha due corni, uno generale più economico, perché «i presidenti sanno che se vogliono ci sono margini ulteriori di risparmi. Non mi si dica che i fondi che ricevono sono tutti spesi bene, altrimenti non si giustificherebbe che ci sono disparità nella qualità di servizi tra una regione e l’altra». E l’altro politico-personale, perché con il liberal Sergio Chiamparino, fino a poco tempo fa considerato renziano doc, i rapporti di sintonia sono interrotti. Al punto che – con la premessa che questa dietrologia non è attribuibile al premier – i renziani ora sospettano che all’interno del partito «il Chiampa voglia smarcarsi per fare la parte di quello che magari può costituire un’alternativa a Matteo in chiave congressuale». Non è passata inosservata la battuta pronunciata l’altro ieri da Chiamparino quando ha confermato le sue dimissioni, «preferisco avere le mani libere dal punto di vista politico per portare avanti le proposte legate alla nuova stagione che si apre».
Così come non è passato inosservato agli occhiuti osservatori del premier che il governatore abbia accettato di presenziare domani a un convegno sulla legge di stabilità all’auditorium della Fondazione Sandretto; convegno organizzato dalla minoranza Pd con i parlamentari bersaniani Cecilia Guerra, Andrea Giorgis e con Vincenzo Visco. Dove agli occhi dei renziani l’unico ospite giustificato è Fassino come sindaco della città, che si è appena ricandidato per la sfida delle urne. A sentir loro, un altro segnale dello smarcamento, che mette politicamente Chiamparino sullo stesso piano di altri governatori che potrebbero contrapporsi a Renzi al congresso 2017, quello della Toscana Enrico Rossi e quello della Puglia Michele Emiliano. Anche se in questa partita sulla legge di stabilità i governatori non sono sullo stesso piano, «Chiamparino è rimasto isolato, neanche Toti e Zaia hanno usato toni così forti, e Rossi si è posto come quello più disponibile a una mediazione». Ma che la tensione alla vigilia del summit fosse alta, lo dimostra la trepida attesa dei governatori per quel decreto salva-regioni annunciato l’altra sera: forte pressing per tutto il giorno degli interessati per vederlo varato già oggi per poter chiudere i bilanci al più presto, entro la scadenza del 30 novembre.
I governatori sospettavano che il premier volesse tenerli appesi. Ed era proprio così, anche se il premier già aveva chiarito ai gruppi Pd che il provvedimento sarà operativo la prossima settimana: il Capo dello Stato sarà in Vietnam e non sarà a Roma prima di mercoledì per firmare il decreto. Che sarà varato domani in tempo per l’approvazione dei bilanci di assestamento delle regioni entro il 30 novembre.
La Stampa – 5 novembre 2015