Le vittime sono oltre 4mila, ma gli esperti escludono il rischio di diffusione incontrollata in Occidente e parlano di allarmismo. Ebola, niente panico. «La retorica della paura legata al virus Ebola in Europa e negli Stati Uniti è del tutto ingiustificata – afferma il direttore dell’Istituto di immunologia dell’Università di Berna, Beda Stadler, in un’intervista al sito di informazione Watson -. Se Ebola si diffonde in modo incontrollato in Africa, questo dipende anche da una “cultura differente” e da standard igienici e sanitari più bassi, che non sono paragonabili a quelli europei, ricordando che la normale influenza fa più morti ogni anno in Europa di quanti il virus Ebola non ne abbia fatti finora in Africa».
Un altro dato oggettivo è che i casi di Ebola non sono legati ai flussi di migranti, ma di turisti, quindi il pericolo viaggia in aereo non sui barconi spiega la Simit, la società italiana per la Malattie infettive e tropicali. «Come più volte sottolineato – dicono gli esperti – l’incubazione della malattia è al massimo di 21 giorni, anche se la maggioranza dei contagiati presenta i sintomi entro una settimana dal contagio. Ciò non consente che persone che arrivano via mare clandestinamente, dopo un lungo viaggio via terra, in genere di varie settimane, possano ritrovarsi in fase asintomatica».
«È possibile seppur poco probabile – precisa Massimo Andreoni, presidente Simit – che questo avvenga tramite voli provenienti dalle città europee che hanno collegamenti diretti con i Paesi colpiti, che l’Italia però non ha». E proprio delle procedure di controllo negli aeroporti europei si parlerà alla riunione straordinaria dei ministri della Salute Ue sull’emergenza Ebola, convocata il 16 ottobre a Bruxelles dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin – in qualità di presidente di turno nell’ambito del semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea – e dal commissario europeo alla Salute pubblica Tonio Borg con l’obiettivo di ridurre ulteriormente il rischio di diffusione in Europa, che sia la Commissione europea sia l’Oms (che ha aggiornato ieri a più di 4mila il bilancio delle vittime) definiscono molto basso. E anche nel Laboratorio per la Modellizzazione di sistemi biologici e sociotecnologici (Mobs Lab) di Boston che usa i Big Data per prevedere l’avanzata del contagio, i risultati indicano che a breve termine (dalle 3 alle 6 settimane) la probabilità dell’internazionalizzazione del contagio è piccola, anche se non trascurabile. L’Europa comunque sta anche considerando l’impiego di militari in Africa tra le possibili risposte alla diffusione del virus
Al momento in Occidente sono più i falsi allarmi che non i casi reali. «Negli ultimi giorni ci sono stati inviati 7-8 casi sospetti di Ebola, ma che si sono rivelati tutti falsi allarmi», dice Giuliano Rizzardini, direttore del dipartimento di Malattie infettive dell’Ospedale Sacco di Milano, che insieme allo Spallanzani di Roma, è il centro di riferimento nazionale per l’assistenza e la diagnosi su Ebola. Ma a rientrare sono anche i casi di Parigi, quelli in Russia e anche le autorità sanitarie macedoni hanno definito improbabile che il cittadino britannico, morto l’altro ieri a Skopje, abbia contratto la malattia. E negli Stati Uniti, Thomas Duncan, morto mercoledì, resta l’unico caso nonostante l’agenzia sanitaria Cdc stia ricevendo in media 800 segnalazioni al giorno su potenziali casi, contro i 50 dei giorni precedenti. Una caccia ai sintomi che fa impennare la domanda (e il fatturato) delle aziende produttrici di tute, maschere, guanti, occhiali e copriscarpe protettive, al punto che sul suolo americano, le prime tute antiEbola sono già apparse in vendita su Amazon. Impossibile non tornare con la mente all’influenza aviaria e alla febbre suina di pochi anni fa…. (Il Sole 24 Ore)
Il piano Ue anti-Ebola Vertice il 16. Lorenzin: «Controlli negli aeroporti»
ROMA Riunione straordinaria a Bruxelles giovedì prossimo di tutti i ministri della Salute dei Paesi europei per fare il punto sull’epidemia di Ebola e adottare misure efficaci per bloccarne la diffusione. «Ho fatto richiesta, in qualità di presidente di turno nel semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Ue — ha detto il ministro Beatrice Lorenzin — per convocare una riunione straordinaria e ieri ho avuto l’assenso, anche dalla Gran Bretagna, che nel frattempo ha adottato alcune misure dopo il primo caso in Usa».
Lorenzin è convinta che per fermare il virus bisogna agire «in loco», direttamente nelle zone colpite, ma anche che i Paesi europei debbano adottare gli stessi sistemi di sicurezza e le stesse procedure di controllo negli aeroporti di ingresso dei voli diretti provenienti dagli stati africani dove è diffusa l’epidemia. «Noi non abbiamo voli diretti dai Paesi colpiti, principalmente Liberia, Guinea e Sierra Leone» ha precisato il ministro, mentre altri Stati, come Belgio, Francia e Gran Bretagna, hanno collegamenti diretti dall’Africa occidentale. Il vero problema per Paesi come l’Italia sono gli scali, ecco perché ieri al ministero della Salute si parlava insistentemente di «triangolazioni».
È lo stesso ministro a spiegarlo. «Una persona può partire da un aeroporto dell’Africa occidentale ed arrivare in una città europea che non ha voli diretti, come Milano o Roma, facendo scalo in altri aeroporti. Credo sia necessario pensare ad un sistema di tracciabilità e di controllo dei passeggeri che arrivano dalle aree colpite, indipendentemente dall’eventuale segnalazione di casi sospetti», cosa che peraltro già avviene sia a Malpensa sia a Fiumicino.
Insomma, ha concluso Lorenzin «dobbiamo bloccare il virus a monte, impedendo che possa varcare i confini africani con gli aerei ma anche disporre una tracciabilità sicura dei passeggeri che provengono da quelle zone».
Nelle stesse ore in cui al ministero della Sanità si è lavorato per mettere a punto la riunione di giovedì 18, a Bruxelles si è discusso dell’eventualità di inviare militari in Africa, ma solo per offrire appoggio logistico e supporto alle strutture sanitarie e ai servizi di trasporto. «L’impegno è massimo — ha sottolineato ancora Lorenzin — ogni Paese sta facendo quello che può fare, la Gran Bretagna ha già inviato 750 militari in Sierra Leone, altri Paesi sono più attivi sul fronte sanitario».
Intanto in Spagna sono stabili le condizioni di Teresa Romero, l’infermiera contagiata da Ebola per essersi toccata il viso con un guanto. Sarà trattata con il siero Zmapp, il farmaco sperimentale che stanno sperimentando negli Usa.
Sono negativi i test effettuati a Parigi sulla paziente sospettata di essere affetta da Ebola e ricoverata nell’ospedale parigino di Bichet, così come tutti gli 11 casi sospetti. «Evitiamo il panico», ha ammonito il premier francese Manuel Valls. E anche in Italia gli infettivologi ammoniscono: «Il contagio non è così facile — dice Fabrizio Pregliasco dell’Università di Milano — i fluidi corporei devono entrare in contatto, non basta stare nello stesso luogo in cui si trova anche la persona ammalata».
Così l’epidemia potrebbe evolversi
Più la malattia dilaga nell’Africa occidentale, più cresce il rischio che Ebola arrivi in nuovi Paesi. Le probabilità di registrare almeno un caso importato dall’estero nel breve periodo, comunque, non sono uguali per tutti. Molto dipende dalla vicinanza geografica e dall’intensità del traffico aereo con l’epicentro dell’epidemia, ovvero Liberia, Guinea e Sierra Leone. Alessandro Vespignani, della Northeastern University a Boston, ha pubblicato su PLOS Currents Outbreaks un modello che cerca di prevedere i prossimi passi del virus. Il fisico italiano aggiorna costantemente le sue proiezioni, compilando la classifica dei Paesi più a rischio. L’Italia è nella parte bassa della graduatoria, al posto numero 22. Lo stato europeo più esposto è la Francia: viene subito dopo gli Usa, dove il primo caso importato di Ebola si è verificato a fine settembre. Seguono Gran Bretagna, Belgio e Germania.
L’unico paese dell’Africa occidentale con cui l’Italia ha collegamenti rilevanti è la Nigeria, che finora è riuscita a contenere l’epidemia. Finché il fronte nigeriano regge possiamo sperare, se crolla sarà un problema globale. L’Oms e le autorità sanitarie americane concordano che i blocchi aerei peggiorerebbero il quadro, perché causerebbero il collasso delle aree colpite, mentre i portatori del virus potrebbero sempre aggirarli. Il modello non tiene conto di eventuali mutazioni del patogeno, che potrebbe adattarsi all’uomo diventando meno violento ma più difficile da fermare. Se l’epidemia dovesse continuare a marciare al ritmo attuale, la probabilità di avere casi di importazione entro la fine dell’anno sarebbe vicina al 100% in tutti i Paesi del mondo. Gli scenari futuri cambierebbero drasticamente con un’ampia campagna di vaccinazione, ma per valutare l’efficacia dei candidati vaccini sarà necessario ancora qualche mese.
Mariolina Iossa e Anna Meldolesi . Il Corriere della Sera – 11 ottobre 2014