Giuseppe Agodi e la moglie Lorenza Frigatti sono morti a due settimane di distanza l’uno dall’altra: il primo settembre Giuseppe, 70 anni, ex cancelliere al Giudice di pace di Cavarzere e Cona; lunedì scorso, il 18 settembre, Lorenza, 69 anni, anche lei in pensione e da sempre anima, con il marito, della Pro Loco di Cona e Conetta, provincia di Venezia, quello che negli ultimi anni è stato ribattezzato «distretto dei profughi».
Giuseppe e Lorenza sono stati uccisi da una distrazione, dall’aver raccolto e cucinato i fiori lilla e velenosi del colchico d’autunno scambiati per quelli commestibili dello zafferano. È successo tutto a fine agosto, quando i due coniugi sono partiti per una vacanza nella villetta che hanno a Folgaria, in Trentino. È lì che Giuseppe e Lorenza passavano le estati, tra passeggiate in montagna e la raccolta di funghi ed erbe commestibili.
A tradirli, questa volta, proprio la loro grande passione. Nel corpo dei due coniugi infatti sono state trovate tracce di colchicina, una sostanza contenuta nel colchico d’autunno, usata nella preparazione di farmaci per curare la gotta e in cardiologia, ma velenosa per l’uomo se assunta in grandi quantità. Ed è questo quello successo alla coppia di Cona: a dirlo sono i risultati incrociati dell’autopsia sul corpo di Giuseppe e gli esami del sangue di Lorenza. Un confronto voluto dai medici dell’ospedale di Piove di Sacco quando la donna, di ritorno dalla montagna, è stata ricoverata per una forte dissenteria. Da lì i medici sono risaliti per cercare di capire cosa potesse aver scatenato una reazione simile. Cercando di salvare la vita alla donna, entrata in coma a inizio settembre e morta lunedì scorso, i camici bianchi e i carabinieri del Nucleo Investigativo di Padova hanno messo in ordine gli ultimi giorni dei coniugi. Le carte dell’indagine, ora sulla scrivania di un pm della procura di Rovereto, raccontano come i due fossero stati visti passeggiare nei boschi di Folgaria con in mano i fiori di colchico. Più volte – è scritto negli atti dei carabinieri – erano stati avvertiti della pericolosità di quei fiori, ma ad ogni richiamo e consiglio i coniugi rispondevano sicuri che avrebbero cucinato solo i bulbi.
Il risotto preparato con i fiori di colchico, scambiati per zafferano, però si è rivelato fatale. Il primo a sentirsi male era stato Giuseppe, colpito da un violento attacco di dissenteria e poi, lui cardiopatico, anche da uno scompenso cardiaco che lo ha ucciso. Tornata a Cona anche Lorenza ha iniziato ad accusare una forte dissenteria e dolori allo stomaco così violenti da convincerla, il 2 settembre, al ricovero in ospedale a Piove di Sacco. Sintomi che i medici hanno subito riconosciuto come intossicazione alimentare chiedendo alla donna cos’avesse mangiato nei giorni precedenti. È stato a quel punto che lei, prima di entrare in coma, ha raccontato le ultime ore del marito e i suoi dolori.
Per fugare ogni dubbio i medici hanno chiesto l’autopsia sul corpo del marito e i risultati dell’esame, svolto il 5 settembre dal professor Massimo Montisci, incrociati con le analisi del sangue della donna, hanno confermato il sospetto: sia nel corpo di Giuseppe che in quello di Lorenza (caduta in coma nelle stesse ore in cui l’ospedale individuava la causa del malessere) erano presenti tracce di colchicina, un veleno per cui di fatto non esiste un antidoto.
Inutili quindi i tentativi dei camici bianchi di Piove di Sacco che hanno provato per una decina di giorni a disintossicare la donna. «E’ stato un destino beffardo – ha commentato il sindaco di Cona, Alberto Panfilio -. Giuseppe e Lorenza lavoravano per la nostra Pro Loco, erano in pensione e se la stavano anche godendo com’era giusto che fosse. La montagna era una grande passione, certo non erano alle prime armi».
Nicola Munaro – Il Corriere del Veneto – 20 settembre 2017