Emanuele Scarci. Dopo il tweet del 21 dicembre arriva anche l’atto formale. Il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina ha chiesto, per iscritto, al ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi di adoperarsi per “il mantenimento della indicazione obbligatoria in etichetta della sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento”. Nella lettera Martina sottolinea “come questa norma abbia dimostrato negli anni una grande utilità sia per garantire la correttezza e la trasparenza nei confronti dei consumatori sia per agevolare l’attività dei controlli ufficiali, operati anche dal ministero delle politiche agricole per il contrasto delle frodi. Un intervento normativo in questo senso possa ulteriormente rafforzare la tutela e la credibilità dei prodotti Made in Italy, oltre che rassicurare i consumatori sulla trasparenza delle informazioni contenute nell’etichetta dei beni alimentari”.
In sintesi, si tratta di chiedere una deroga alla Ue circa il Regoalmento Cee 1169/2011 scattato lo scorso 13 dicembre che, tra diverse altre cose, prevede la volontarietà nell’indicazione del sito di produzione di un prodotto alimentare. Fino ad allora in Italia l’indicazione era vincolante.
Apparentemente una semplificazione ma il provvedimento ha sollevato un vespaio. Un danno enorme per il made in Italy secondo diversi produttori e distributori perché si lascia libertà di produrre in qualsiasi parte del mondo. Su questo fronte si sono schierate subito varie industrie di marca: Asdomar, Sterilgarda, Caffè Vergnano, Pedon, Granarolo, Amica Chips. E diverse grandi catene commerciali: Unes, Conad, Coop, Selex, Simply e Coralis.
L’Italia avrebbe potuto chiedere una deroga a Bruxelles nel triennio di preparazione, ma i vari Governi hanno ritenuto di non farlo. Ora bisogna seguire la procedura e sperare in un esito rapido e positivo.
Il Sole 24 Ore – 12 gennaio 2015