Quelle visite a domicilio che finivano sul conto dell’ospedale, in realtà, non erano mai state fatte. Non una, non due, ma migliaia. In un caso, addirittura, era stata messa in parcella anche una visita a un paziente che, però, risultava deceduto da diversi anni.
Una truffa vera e propria, quella scoperta dalle guardia di finanza di San Donà di Piave. L’indagine «Omega» gestita dalle fiamme gialle del Veneto orientale, coordinata dal pubblico ministero veneziano Stefano Ancilotto, ha portato a smascherare trentanove medici infedeli che lavorano per l’Usl 10. L’accusa è truffa continuata ai danni del sistema sanitario nazionale: l’inchiesta ha svelato che i medici avrebbero dichiarato quasi tremila visite fasulle dal 2007 al 2013, per un danno di circa 53mila euro all’ospedale sandonatese.
Per cinque dei 39 medici, il pm ha avviato la chiusura delle indagini. Per gli altri 34, invece, trattandosi di cifre irrisorie, il pubblico ministero chiederà l’archiviazione. Delle cinque posizioni per cui andrà avanti il procedimento, una è particolarmente grave. Un medico a cui vengono contestate 1.300 visite fittizie, per circa 38mila euro incassati dall’Usl. Un secondo, invece, ne avrebbe messe in conto poco meno di duecento, per un totale di ottomila euro. Sempre, chiaramente, per prestazioni che non risultano essere state mai fornite. Agli altri tre, infine, si attribuiscono circa un centinaio di visite ciascuno.
L’indagine è partita da un’inchiesta interna dell’azienda sanitaria, insospettita dai comportamenti di alcuni medici che dichiaravano prestazioni (che, come poi si è verificato, non erano mai state effettuate) a supporto di malati terminali già ricoverati all’ospedale. Visite che, però, avevano preso una piega strana e così si era deciso di chiamare in causa anche la guardia di finanza e la procura di Venezia. Le indagini, avviate due anni fa, hanno verificato che effettivamente quasi tremila prestazioni dichiarate dai camici bianchi (1.800 quelle attribuite ai cinque casi più importanti) ma di fatto mai avvenute tra le strutture sanitarie di San Donà di Piave, Jesolo e Portogruaro.
L’operazione «Omega» si è concentrata sull’analisi di documentazione cartacea e intersezione dei dati per verificare la genuinità delle dichiarazioni presentate dai medici. Si tratta di professionisti, esperti che percepiscono dall’azienda sanitaria 25 euro per ogni prestazione a domicilio. Al termine delle visite, per ottenere il pagamento, devono presentare una dichiarazione e una certificazione per dimostrare la prestazione fornita al paziente: si tratta quindi di visite in ambito di assistenza domiciliare integrata e programmata, un’operazione che ha coinvolto l’Usl 10 fin dal primo momento.
L’azienda sanitaria, che nella vicenda è ovviamente la parte lesa, ha deciso di collaborare nel fornire la documentazione alla guardia di finanza. Sono circa 900 gli utenti dell’azienda sanitaria del Veneto orientale che usufruiscono del servizio di assistenza domiciliare integrata. La truffa è stata possibile perché i medici rendicontano mensilmente le visite a domicilio effettuate, spesso anche programmate, a supporto di pazienti che per vari motivi non possono raggiungere gli ambulatori.
Dura la linea assunta dal direttore generale dell’Usl 10, Carlo Bramezza, che in prima persona si è occupato di dare una mano alle forze dell’ordine fin dal suo inserimento nell’azienda avvenuto circa un anno e mezzo fa. Il direttore ha già annunciato che l’Usl potrebbe costituirsi parte civile nel procedimento: «Se l’inchiesta della magistratura dovesse confermare le accuse mosse ai medici implicati nella vicina – ha commentato – ci costituiremo parte civile e chiederemo un risarcimento dei danni».
Davide Tamiello e Eleonora Biral – corriere del veneto – 30 aprile 2014