«Li abbiamo identificati». E Zaia: «Bossiani? No, gandhiani». Sanno anche «dieci o quindici pistola», come sbotta Roberto Maroni, «ex leghisti » e «quattro gatti», come li liquidano i colonnelli del segretario nathional Flavio Tosi, e però i ribelli del Veneto, approdati sul prato di Pontida per contestare Bobo (e il suo delfino) ed inneggiare a Umberto Bossi, qualche fastidio devono pur averlo provocato, altrimenti non sarebbero stati in cima ai pensieri del Gran Capo fin dal risveglio mattutino.
«A me non piacciono le piazzate – ha detto ieri Maroni a Radio Padania – e coloro che si sono prestati a questo gioco subiranno le conseguenze della loro provocazione, perché ci sono delle regole». Di più, «li abbiamo già identificati dalle fotografie». Sottinteso: nessuno scamperà alla lama scintillante che già si sta arrotando in via Panà, in vista del consiglio «nazionale» di sabato.
Lasciando da parte le tirate contro i giornalisti (uno dei pochi elementi di continuità con l’epoca di Bossi), il segretario federale ha puntato a ridimensionare i manifesti che lo ritraevano come un Pinocchio, i fischi contro Tosi, le bandiere e lo striscione a favore del Senatùr, sostenendo che «dieci persone su ventimila non rappresentano certo “un’altra” Lega: la Lega è unica e loro sono soltanto dieci pistola, protagonisti di una contestazione microscopica». Come lui ha fatto anche il leader veneto, appellandosi alla matematica: «E’ una questione di numeri – ha detto Tosi brindando proprio con Maroni al Vinitaly – a fronte di migliaia di militanti c’è stata qualche decina che non ha capito qual è il bene comune del movimento. Pazienza, si tratta di una minoranza. Il caso Veneto? Direi proprio che non esiste». I «barbari sognanti » fanno muro («I fischi a Tosi sono simili alle contestazioni di quei comitati di espropriati che si oppongono alla realizzazione di una rotatoria attesa da tutto il resto della popolazione», chiosa immaginifico Leonardo Muraro, mentre i pasdaran si scatenano tra Facebook e Twitter) ed anche il governatore Luca Zaia, indicato fino a ieri come l’antagonista principe di Tosi, sembra determinato a seguire la nuova via «gandhiana» che lui stesso ha attribuito a Bossi dal palco di Pontida: «Non esistono più i “bossiani” ma solo i “gandhiani”.
Si deve guardare con concretezza al fatto che da un lato ci deve essere rispetto delle regole da parte di tutti, dall’altro si deve evitare di arrivare sempre al provvedimento (disciplinare, ndr.). Se la Lega vuol essere davvero “partito egemone” deve essere in grado di gestire al suo interno le diversità e le divisioni, visto che abbiamo estrazioni politiche, culturali e sociali diverse». Insomma, i «gandhiani » non possono essere emarginati alla stregua di un passato da dimenticare, anche perché spesso possono contare su pacchetti consistenti di voti e sul territorio sono in grado di farsi sentire eccome, si pensi a quel che è successo nelle segreterie di Vicenza e Treviso. Il governatore ha poi raccontato di non aver sentito i fischi contro Tosi (un provvidenziale ritardo) e di aver chiesto ai ribelli di togliere dal palco lo striscione «Veneto, congresso subito», esposto durante il suo intervento, perché «il palco è una rendita di posizione, non tutti possono salirci sopra ed è giusto che tutti siano messi nelle stesse condizioni». A riprova del nuovo corso «peace & love» tra i maggiorenti padani, si segnala il breve vertice a due Zaia-Tosi, andato in scena tra un brindisi e l’altro al Vinitaly, bis dell’appuntamento che già si era tenuto domenica mattina. Cosa si siano detti resta un mistero ma i colonnelli dell’uno e dell’altro assicurano: «Sono entrambi troppo intelligenti e troppo furbi per non capire che continuare su questa strada significa distruggere il partito. E le carriere politiche di entrambi». Cin, cin.
Marco Bonet – Corriere del Veneto – 9 aprile 2013