Sorpresa di Capodanno. Dal primo gennaio 2019 tornano a salire le tasse locali. Imu, addizionali comunali e regionali. Ma non solo. Un salasso da oltre 2 miliardi, a stare cauti. Circa 130 euro in più a famiglia. Il governo Lega-M5S ha scelto di non prorogare il blocco delle aliquote, deciso dall’esecutivo Renzi nel 2016 e confermato poi nei due anni successivi. Allora fu una mossa per evitare che i sindaci, dopo la cancellazione di Imu e Tasi sulla prima casa, si rifacessero sull’Irpef. Poi solo convenienza politica. Che ora mostra la corda. «Congelare la situazione a tre anni fa vuol dire limitare l’autonomia dei sindaci, sancita dalla Consulta», reagisce Antonio Decaro, sindaco Pd di Bari e presidente Anci, l’associazione dei comuni italiani. «Ci sono sindaci, anche nuovi, che rischiano di andare in pre — dissesto, ma hanno un’Irpef a zero. Se vogliono aprire asili nido dove li prendono i soldi?».
Il conto è presto fatto: 6.545 comuni su 8.016 — l’82%, calcola la Uil, Servizio politiche territoriali — può tornare a muovere la leva fiscale, comprese 71 città capoluogo. Tra i 6.545 ben 1.285 — quelli citati da Decaro — hanno un’addizionale comunale Irpef a zero. Come Gorizia, Trento e Bolzano. Altri 779, tra cui le principali città, sono al massimo (lo 0,8%). Ma possono togliere le esenzioni. È il caso di Roma, Milano, Genova, Bologna, Napoli, Palermo, Torino, Venezia. I restanti 4.481 comuni (su 6.545) hanno due strade: alzare l’aliquota o rimodulare le esenzioni. Anzi, 72 piccole cittadine (come Vicovaro, Nocera Umbra, Pietralunga) sono già pronte, con tanto di delibere congelate. A Capodanno brindisi e in alto le tasse.
L’Irpef d’altro canto non è l’unica strada per fare gettito. C’è l’Imu-Tasi su seconde e terze case. Oltre 6 mila comuni su 8 mila possono pensare di spingersi verso il 10,6 per mille, aliquota massima. Roma e Milano ad esempio sono già lì, anzi sopra: all’11,4 per mille, perché hanno aggiunto lo 0,8 extra consentito dalla legge. Torino e Bergamo sono al top (10,6). Nulla vieta però di ritoccare il prelievo sugli altri immobili, come quelli locati a canone concordato. O i capannoni.
E veniamo alle Regioni. Nel 2019 si vota in Abruzzo, Basilicata, Sardegna (tra gennaio e febbraio), Calabria, Emilia Romagna, Piemonte (forse a maggio).
Difficile che i governatori uscenti decidano un salasso in campagna elettorale. Piuttosto faranno come Zingaretti nel Lazio: andranno alle urne con un bilancio provvisorio. Se eletti, ci penseranno dopo. L’addizione regionale all’Irpef fa gola. È il balzello che dà più margini.
L’aliquota media nazionale è ora all’1,65%. Ma si può arrivare al 3,3%: tetto massimo in vigore solo in Piemonte e nel Lazio (per i redditi sopra i 75 mila euro). Va detto che molti conti regionali traballano, per via della spesa sanitaria che li gonfia. Qualche governatore ci penserà, tra quelli in difficoltà: Piemonte, Liguria, Abruzzo, Lazio, Molise, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia. Anche la Sardegna è in bilico (e aveva già deliberato un aumento, poi congelato).
Ma non di solo Irpef e Imu vive il 2019. Ad uscire dal freezer saranno anche altri balzelli. Le province busseranno alla porta dell’Rc Auto, dell’Ipt (imposta di trascrizione) e del tributo ambientale (una sovrattassa sui rifiuti). I comuni hanno anche la tassa sull’occupazione di suolo pubblico, l’imposta di pubblicità e quella sulle affissioni. Le regioni possono contare su Irap, bollo auto, tassa per il diritto allo studio e la dimenticata (ma viva) Arisgram, l’addizionale all’accisa sul gas domestico. La Tari sulla spazzatura invece non è mai stata fermata. «Chiediamo a governo e Parlamento di mantenere anche per il prossimo anno il blocco delle aliquote», chiede Ivana Veronese, segretaria confederale Uil. «Nel frattempo occorre però completare la riforma del fisco locale, attesa da troppo tempo: semplificare e accorpare i tributi, come Imu e Tasi».
Repubblica