La Stampa. Prima il lockdown, poi l’arrivo dei vaccini. La convivenza estiva con il Covid nel 2020 e nel 2021 è stata mitigata dalle due principali misure che hanno contenuto i danni prima del grande caldo. Alla terza estate di pandemia, invece, la curva dei contagi è tornata a impennarsi scatenando il dibattito tra virologi: far circolare il virus o ripartire dalle restrizioni? Nella seconda categoria si schiera apertamente Silvio Garattini, presidente e fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri”: «Con questi numeri sulle morti da Covid non si può lasciare Omicron libera di circolare. È un sacrificio che non possiamo permetterci».
Con Omicron 5 serve tornare in fretta alle restrizioni?
«Non conosciamo ancora questo virus. La variante è cambiata, l’infettività è alta nonostante sia arrivato il grande caldo, spiazzandoci. E questa incapacità di prevedere la pandemia porta a due previsioni: vaccinare il mondo, perché solo così si evita la proliferazione di varianti, e tornare a usare le regole di prevenzione che la gente non usa più. I gel disinfettanti sono ovunque, le mascherine invece non si vedono più. Così si torna a grandi, pericolosi, numeri».
Qual è stato l’errore più grande che ci ha portati fin qui?
«Avremmo dovuto mantenere le Ffp2 obbligatorie nei luoghi di lavoro ed evitare queste grandi riunioni di migliaia di persone. Concerti, partite, eventi: così il virus va a nozze, circola rapidamente e muta moltiplicandosi. Sono stati commessi errori enormi: il rompete le righe in modo prematuro non è stato utile, ma dannoso».
Far circolare Omicron, quindi, è da escludere.
«Si può anche pensare, ma non con questi numeri sui morti per Covid: 100 al giorno non è un numero che possiamo ignorare, sono 3 mila al mese. Un sacrificio troppo alto. Sono ancora in troppi senza la protezione del vaccino, tanta gente è in pericolo: il vaccino protegge al 90%, c’è chi ha una risposta debole, e in troppi non hanno il richiamo giusto».
In tanti, però, sulla quarta dose sono titubanti. Come si convincono?
«Innanzitutto la quarta dose è metà dose, cosa che spesso non viene spiegata. Ed è stato giusto anticiparla per chi è a rischio. Ancora più corretto è partire, però, da chi non ha nemmeno la terza: bisogna fare le cose con diverse priorità, partendo ovviamente dai fragili, e non escludere nessuno. Ad oggi, però, c’è una prospettiva che rallenta la campagna vaccinale».
Quale?
«Ribadire continuamente che a settembre sarà pronto un vaccino più adatto a questa nuova variante non è un incentivo a fare la quarta dose. In tanti attendono il vaccino “migliore”. Ed è anche logico aspettare, però non bisogna dimenticarsi della prudenza».
Cresce anche il partito di chi vuole togliere la quarantena, tra le misure di sicurezza, per non “bloccare il Paese”.
«Il Paese non si blocca più. Ci sono disagi con 100 mila contagi al giorno, perché si fermano 100 mila persone ogni 24 ore. Con numeri più bassi il problema non si pone. E poi credo non si possa dire alla gente “Vi raccomandiamo”, lasciando la responsabilità al singolo. Serve dire in modo chiaro ciò che si deve fare, altrimenti è il caos».
Con l’autunno la situazione peggiorerà o questo picco farà tardare una nuova ondata?
«Fare previsioni con il Covid non ha mai pagato. Si rischia di dare cattive informazioni, sbilanciandosi in una cosa che non riusciamo a conoscere».
Tra le ricadute della pandemia, c’è anche la situazione sempre più complicata negli ospedali.
«Quello è un altro problema. Dovremo cercare di separare le aree Covid da tutto il resto, e non penalizzare più chi ha altre malattie non Covid ma sono altrettanto gravi. Per i casi di tumore sono saltati 400 mila interventi chirurgici, è andato perso un milione e mezzo di persone che non hanno fatto lo screening tumorale. Saltati anche 1.200 trapianti di organi. La pagheremo più avanti, perché non aver colto da subito queste malattie porterà a gravi conseguenze. Non bisogna polarizzare l’intera attenzione sul Covid: il primo anno nell’emergenza non lo sapevamo, nel secondo anno ci sono stati i vaccini. Al terzo anno non trascuriamo niente». —