di Fabio Savelli. Le biciclette con il frigorifero per conservare la spesa. L’anfiteatro per guardare il processo di produzione della birra. Le visite guidate dagli allevatori. Il trenino per spostarsi da un punto all’altro. Gli autobus ibridi dalla stazione dell’Alta velocità. Il caffè, il latte, l’olio, la mortadella, la pasta, il parmigiano, il vino, la carne. Dal campo al tavolo di ristorante. Allo scaffale della grande distribuzione. E poi nei pacchi, in pronta consegna in tutto il mondo, con il rimborso dell’Iva come avviene negli aeroporti. Perché Poste Italiane ha deciso di inaugurare qui — a poche centinaia di metri dagli svincoli per l’A1 e per la tangenziale — un punto corrispondenza (e di confezionamento) aperto fino alle 22. L’unico in Italia.
I lavori sono frenetici, il rumore del trapano è di ordinanza. È un andirivieni di operai, di camerieri, di cuochi, affinché tutto sia in ordine il prossimo 15 novembre.
Fico, acronimo di Fabbrica Italiana Contadina, sta per aprire. Qui nella cittadella del cibo più grande mai concepita — circa 100 mila metri quadrati — ci sarà il premier Paolo Gentiloni a tagliare il nastro.
Non è una scommessa da poco. Il rischio cattedrale nel deserto resta. Ma Tiziana Primori, amministratore delegato di Eataly World, dice che con Fico l’Italia si mette al centro del mondo. «Nella tutela della biodiversità. Nella qualità degli alimenti. In una filiera integrata che coinvolge le grandi eccellenze del made in Italy — spiega —. Che per la prima volta si mettono insieme per spiegare a tutti come e dove nascono i prodotti, quanti passaggi fanno, come vengono serviti nei piatti».
Non sfugge la complessità dell’operazione. La Disneyland del cibo, come è stata etichettata, contiene in sé l’obiezione principale. Che diventi un’attrazione dal forte contenuto di marketing. Una vetrina per i marchi che hanno affittato gli spazi — da Lavazza a Granarolo — per autocelebrarsi.
La volontà della società di gestione, frutto di una joint venture paritetica tra Eataly e Coop Alleanza, è legare le iniziative commerciali a quelle formative. «E far conoscere questo posto nel mondo, un biglietto da visita per l’Italia», spiega il presidente Farinetti.
Di fronte all’ingresso, che fino ad un anno fa era la porta di accesso del mercato ortofrutticolo, c’è la facoltà di Agraria dell’Università di Bologna.
Con la fondazione Fico collaborerà anche quella di Pollenzo fondata da Carlo Petrini. Non si tratta di iniziative filantropiche. Senza una stretta sinergia con le università Fico rischia di perdere la sua autenticità. Per questo l’agenzia per il lavoro Randstad, coinvolta nell’intermediazione dei profili ricercati dalle 150 imprese del parco, ha deciso di avviare un progetto sull’alternanza scuola-lavoro.
Bologna sa di giocarsi una partita decisiva, anche come crocevia della Tav che la mette in una posizione invidiabile sulla Milano-Roma. Il sindaco Virginio Merola dice che «è un grande progetto collettivo». Perché conferisce alla città «una capacità di immaginare il suo futuro», a patto che «la missione originaria, quella di una cittadella ecosostenibile, resti l’obiettivo di tutti».
Non è un richiamo campato per aria. L’investimento è stato importante: 120 milioni di euro. Finanziato per metà da alcuni investitori istituzionali, come quasi tutte le casse previdenziali, e da una banca come Intesa Sanpaolo. La forma scelta è quella di quote del fondo immobiliare Pai gestito dalla sgr di Prelios che ha ottenuto una concessione sull’intera area per i prossimi 40 anni. Gli azionisti pubblici restano: come il Comune e la Camera di Commercio. Ma i rendimenti attesi sono importanti: del 6 per cento. Se Fico rispetterà i suoi obiettivi: un fatturato tra tre anni di circa 90 milioni. Nonostante non si pa ghi l’ingresso.
Il Corriere della Sera – 8 novembre 2017