Piccoli ominidi, finora sconosciuti, si muovevano nella savana sudafricana con pochi alberi. Avevano caratteristiche e capacità molto particolari e la scoperta dei loro resti fossili racconta di un antenato prezioso, addirittura una nuova specie battezzata Homo naledi che popolava l’orizzonte delle nostre origini. Ciò che più ha stupito i paleoantropologi sono alcune parti del corpo molto più simili alla specie Homo piuttosto che ad altre come l’ Australopithecus a cui apparteneva la famosa Lucy vissuta 3,2 milioni di anni fa.
La storia iniziava due anni fa in una grotta ad una quarantina di chilometri da Johannesburg. La zona, nota come una delle culle dell’umanità, era già famosa per altri ritrovamenti. La grotta «Rising Star» (e «naledi» vuol dire «stella») aveva un apertura piccola e angusta nella quale Lee R.Berger dell’Università di Witwatersrand a Johannesburg entrava ritrovandosi in un’ampia caverna. Davanti agli occhi aveva una moltitudine di resti (1.550), un tesoro dal quale un gruppo di sessanta ricercatori ricostruiva l’identità di individui molto diversi: dal neonato all’anziano con maschi e femmine, inclusi cinque bambini. «La ricchezza dei frammenti ci ha permesso di ricostruire scheletri interi riuscendo non solo a definire in dettaglio il loro identikit ma anche gli stili di vita» spiega Damiano Marchi biologo dell’Università di Pisa e unico italiano tra gli autori della scoperta pubblicata sulla rivista eLife . La missione era sostenuta dall’Università di Witwatersrand, dalla National Geographic Society e dalla National Research Foundation sudafricana.
Homo naledi era di piccola statura (circa 150 centimetri), pesava tra i 40 e 55 chilogrammi e la testa, pur essendo piccola aveva caratteristiche vicine alle nostre nella conformazione, come le arcate sopracciliari. Altre somiglianze riguardano gli arti inferiori gracili e lunghi mentre il torace e il bacino conservano segni primitivi. «Il mosaico è variegato — nota Marchi — e per la prima volta consente di avere una visione completa di un ominide».
Il piccolo naledi era un bipede in grado di correre ma anche di arrampicarsi sugli alberi come certificano le dita arcuate. Lo studio della mandibola e dei piccoli denti suggeriscono che si cibasse pure di carne.
Ma l’aspetto più intrigante è forse il raggruppamento degli individui. Gli scienziati ipotizzano che la caverna fosse un tomba nella quale i corpi erano stati raccolti dimostrando di avere un culto dei morti. Resta tuttavia il mistero della loro epoca. «Ancora non riusciamo a decifrarlo — aggiunge Marchi — perché non sono stati trovati intorno altri resti che ci consentano di raggiungere una datazione precisa. Se risalgono a 2,5 milioni di anni fa si collocano alle origini dell’evoluzione del genere Homo . Se invece fossero più giovani di un milione di anni amplierebbe lo spettro delle specie degli ominidi vissute contemporaneamente rendendo più complesso il panorama dal quale è emerso il sapiens ». Questa è ora la sfida da vincere.
Giovanni Caprara – Corriere della Sera – 11 settembre 2015