Paolo Baroni. Processo ai farmacisti. «Il titolo di farmacista è come un titolo nobiliare che viene trasferito di padre in figlio, senza concorso: non conta la laurea e quanto hai studiato, contano solo criteri ereditari e di censo. E’ una cosa abominevole», accusa Davide Gullotta, catanese, giovane presidente della Federazione nazionale delle parafarmacie.
E dalla grande distribuzione, catene come Coop o Conad, rincarano la dose: «Col ddl concorrenza si è persa un’occasione». E ancora: i titolari di farmacia, «si preoccupano di mantenere i loro privilegi di casta ed economici» più che pensare ai cittadini, sostiene Sergio Imolesi, segretario generale di Ancd Conad. Sul fronte opposto i titolari di farmacia fanno muro. «Non siamo noi che freniamo le liberalizzazioni, il nostro è un settore abbondantemente liberalizzato da anni ed a breve apriranno pure le 3000 nuove farmacie volute da Monti», spiega Annarosa Racca, presidente di Federfarma, la federazione dei titolari di farmacia. «Noi come federazione non freniamo nulla. Non ci siamo mai schierati, né rispetto a ricorsi alla Corte di giustizia europea né su quelli presentati alla Corte Costituzionale, compresa la recente pronuncia sui farmaci di fascia C», assicura di suo Andrea Mandelli, presidente della Federazione degli ordini. Che intanto, però, siede pure in Parlamento in qualità di senatore di Forza Italia. E se gli si fa notare che lui potrebbe essere la personificazione della lobby dei farmacisti risponde: «Direi proprio di no. Gli ordini sono enti nati nel 1947 per tutelare i cittadini, non siamo certo un sindacato. Il sindacato è una cosa diversa».
Il business della fascia C
L’ultima «pietra dello scandalo» è rappresentata dalla mancata liberalizzazione dei farmaci di fascia C a totale carico dei consumatori. Un business che da solo vale circa 3 miliardi di euro l’anno, ovvero il 17% delle vendite totali di farmacie e parafarmacie (22 miliardi, di cui 16 di prodotti strettamente farmaceutici). Il ministro dello Sviluppo ha provato a porre la questione, nonostante a luglio la Corte Costituzionale avesse avallato come «non irragionevole» l’esclusione delle parafarmacie, ma ha dovuto rinunciarvi. Ovviamente parafarmacisti e grande distribuzione non accettano che Federfarma abbia avuto la meglio. «È illogico e fuorviante perseverare nella difesa corporativa di chi gode di rendite di posizione ormai anacronistiche – spiega Imolesi -. Il mercato dei farmaci di fascia C è monopolio delle farmacie tradizionali, un mercato a cui evidentemente non intendono rinunciare, anche se produce inefficienze e prezzi alti, spesso inaccessibili alla fasce più povere della popolazione».
Affari in caduta libera
Oggi in Italia le farmacie sono 17mila, 4-5000 le parafarmacie, circa 300 invece i corner nella grande distribuzione. Il grosso del giro d’affari, oltre il 90% del fatturato, passa ancora attraverso le farmacie tradizionali, che però in questi ultimi tempi soprattutto per l’introduzione dei generici hanno visto crollare verticalmente sia il valore medio di una ricetta, passata da 25 a circa 12-15 euro, sia il valore delle farmacie stesse. Che rispetto a 4-5 anni si è ridotto di un terzo, al punto che oggi una farmacia che fattura un milione di euro viene rilevata alla pari mentre prima ne valeva anche 3/3,5. «So di darle un dato a cui non crederà mai – racconta Mandelli – ma il settore sta vivendo una fase di grave difficoltà economica, come del resto il Paese, e non è certo quel Bengodi di cui si favoleggia. Non sono qui col piattino a chiedere la carità, ma le farmacie fallite sono tantissime».
Rivoluzione più vicina
«Il mercato della distribuzione dei farmaci è certamente ancora molto ingessato – sintetizza Sara Sileoni, vicedirettore dell’Istituto Bruno Leoni – ma più che la liberalizzazione della fascia C credo che sul lungo periodo sia utile l’aver aperto le farmacie a società di capitali, perché mentre la domanda di farmaci non si può aumentare si può certamente recuperare efficienza sul fronte della distribuzione». Giganti come Alliance Boots, Celesio e Phoenix, che da soli totalizzano il 60% del mercato europeo dei farmaci all’ingrosso e che controllano una fetta importante delle catene di farmacie attive in Europa, sono insomma dietro l’angolo. Assicureranno certamente prezzi più bassi, ma anche «meno varietà di offerta», mette in guardia la dottoressa Racca, non poco preoccupata per il fatto che «gli interessi commerciali di queste multinazionali abbiano il sopravvento sulla qualità del servizio». Amaro il commento di Gullotta: «Piuttosto che lasciar fare anche a noi il lavoro di farmacisti, preferiscono far entrare il capitale e dare la proprietà della farmacie alle grandi catene, col rischio che in Sicilia dove lavoro io le farmacie diventino lavanderie per il riciclaggio dei soldi della mafia».
La Stampa – 2 marzo 2015