Michele Bocci. L’ospedale più grande della Calabria, quello che assiste il maggior numero di pazienti e si occupa dei casi più complicati, sta fuori dai suoi confini. La battuta non è di una persona stanca di doversi spostare per essere curata ma porta la firma del responsabile della sanità regionale, il presidente Mario Oliverio, che ogni anno vede partire quasi un quarto dei suoi concittadini che hanno bisogno di un ricovero.
La diaspora dei malati del sud non si arresta e anzi si teme che la situazione stia peggiorando. Provvedimenti e accordi tra amministrazioni locali non riescono a ridurre quelli che un tempo venivano definiti “viaggi della speranza”. «Secondo le nostre stime — dice Oliverio — Nel 2015 pagheremo di più per le cure dei nostri malati in altre regioni, circa 290 milioni di euro contro i 250 che spendevamo per il 2014». L’anno scorso su circa 500mila persone emigrate per curarsi, circa 50mila hanno lasciato la Campania, 40 mila la Puglia e la Calabria, 30mila la Sicilia. Quasi ovunque si vede una tendenza alla crescita. Sono dati che, tra l’altro, non tengono conto dei day hospital, della radioterapia, delle visite e della diagnostica perché le stime sul 2015 su queste prestazioni non sono ancora credibili. Quindi i numeri alla fine saranno superiori.
Quelle persone si sono allontanate da sistemi sanitari dei quali non si fidano, in certi casi a ragione ma in altri a torto. Spesso infatti si sceglie di spostarsi per prestazioni sanitarie banali, o comunque svolte adeguatamente a pochi chilometri da casa. Tante volte, però, ci si muove quando la situazione è seria, e i dati del primo semestre 2015 sul cancro hanno risvolti drammatici. Oltre il 40% dei ricoveri dei calabresi che lottano contro il tumore avvengono fuori dalla regione. Il dato è del 20% in Campania, del 12 in Puglia e Sicilia. «Entriamo nel settimo anno dall’introduzione del commissariamento della sanità delle Regioni in rosso — dice sempre Oliverio — Ecco, questo sistema non ha funzionato, la nostra sanità non è migliorata. E si registra un progressivo aumento della mobilità, mentre crescono le liste di attesa e cala la qualità dei servizi. Credo sia arrivato il momento di ridiscutere i commissariamenti ». Per migliorare ci vorrebbero anche soldi ma siamo in un periodi di scarsi aumenti dei fondi destinati alla sanità. Logico che chi in passato ha sprecato di più adesso sia in grave disagio. I dati siciliani non sono buoni ma un tempo andavano molto peggio, con l’aereo che era uno dei mezzi di trasporto più diffusi tra i malati. «Abbiamo ancora problemi con l’ortopedia — spiega l’assessore alla sanità Baldo Guicciardi — Malgrado l’accordo con il Rizzoli di Bologna, che ha aperto qui una sua struttura. L’altra spina è l’oncologia. Dobbiamo aumentare la qualità dell’offerta ma anche convincere i cittadini che pure da noi si fanno bene le cose in sanità».
Chi si sposta, e questa non è una novità, va soprattutto in Lombardia, che più attrae specialmente chi ha il cancro. Circa 110mila persone nel 2015 sono venute qui per essere ricoverate (seguono Emilia, Toscana e Veneto). Si tratta di ben un quinto di tutte le degenze che gli italiani fanno fuori dalla propria regione. Quando si valutano i dati della mobilità sanitaria, bisogna tenere conto che ce n’è una fetta legata principalmente a motivi di confine, e quindi non potrà mai essere ridotta. Chi sta in Umbria si sposta in Toscana o Lazio perché magari è lì la struttura sanitaria più vicina a casa sua. Ma va anche sottolineato come a fronte delle uscite dei pazienti ci siano anche le entrate. E la differenza, il saldo, è quello che interessa davvero ai governatori e agli assessori alla Sanità. Su quella, infatti, si basano i finanziamenti che ricevono da Roma quando viene suddiviso il fondo sanitario nazionale.
Ogni prestazione sanitaria ha una tariffa, se una Regione ne fa di più a pazienti in arrivo da fuori di quelle che le altre amministrazioni locali svolgono per i suoi residenti, incassa. Altrimenti ci rimette. E infatti la Lombardia ogni anno arrotonda il suo fondo con ben 530 milioni. E c’è chi magari ha tante uscite ma anche un buon numero di entrate, e quindi compensa i viaggi delle speranza dei suoi concittadini. Questo non vale per le regioni del Sud più in difficoltà. Lì nessuno va a farsi curare, a meno che non si senta male in vacanza.
Repubblica – 4 aprile 2016