La sanità rende sempre più italiani poveri e la povertà fa rinunciare alle cure un numero di persone via via maggiore. Che le diseguaglianze in sanità stiano crescendo a causa soprattutto dell’ostacolo delle liste di attesa, insormontabile per chi non ha la possibilità di aggirarle pagando, lo confermano i dati ancora inediti del Rapporto annuale del Crea sanità di prossima presentazione.
Le famiglie che hanno accusato un disagio economico a causa delle spese sanitarie erano il 4,7% nel 2019, sono salite al 5,2% nel 2020, per arrivare ora al 6,1%, percentuale che in numeri assoluti fa un milione e 580 mila nuclei familiari. In crescita è anche il fenomeno delle cosiddette spese sanitarie «catastrofiche», secondo la definizione dell’Oms quelle che impoveriscono le famiglie quando superano del 40% le capacità economiche di sostenerle. Qui i dati differiscono molto a seconda di chi li rileva ma sono in ogni caso in crescita. Secondo il Crea riguardano il 2,8% delle famiglie italiane, ma per i calcoli della sezione europea dell’Oms sarebbero molte di più, il 9,44%, dato tra i peggiori d’Europa. Fatte le somme tra chi si impoverisce in corso d’anno per le spese sanitarie e chi va in difficoltà per esborsi improvvisi ed esorbitanti, si arriva in totale quasi al 15% delle famiglie italiane, circa 9 milioni di persone in difficoltà economica per colpa di una sanità pubblica che non ce la fa più a garantire tutto a tutti, lasciando scoperti proprio i più deboli. Poi, come sempre, alle diseguaglianze economiche si sommano quelle territoriali, per cui se le famiglie impoverite per curarsi sono il 4% nel Nord-Est, raddoppiano all’8,2% a Sud, mentre al Centro sono il 5%, il 5,9% a Nord-Ovest.
Un’altra indagine condotta dall’Università di Roma «Lumsa», in collaborazione con quella del West Virginia, ha poi rilevato un milione e 350 mila famiglie che hanno dovuto dirottare verso l’assistenza sanitaria il 20% dei propri consumi, alimentari a parte. Come dire che per curarsi hanno rinunciato a cambiare abito oppure l’auto oramai troppo in là con gli anni.
Che le cose vadano di male in peggio lo racconta anche l’11° Rapporto sulla povertà sanitaria presentato il mese scorso da Banco farmaceutico, che nei primi 10 mesi del 2023 ha contato 427 mila italiani in condizioni di povertà sanitaria e che per questo si sono dovuti rivolgere alle organizzazioni no profit, ormai un quinto delle strutture sanitarie del Paese. Solo un anno prima a richiedere aiuto erano stati 386 mila assistiti, che in un solo anno sono quindi aumentati del 10,6%. A rivolgersi al no profit per supplire alla povertà sanitaria sono più i cittadini del Nord. Ma il dato non inganni, perché il Sud è in realtà doppiamente svantaggiato, avendo più persone in difficoltà economica e meno strutture di volontariato che diano una risposta ai loro bisogni. Il no profit è utile non solo per accedere gratuitamente alle cure. Come dichiara Il presedente della Fondazione Banco farmaceutico, Sergio Daniotti, «tante persone in condizioni di povertà non riescono ad accedere alle cure non solo perché non hanno risorse economiche, ma anche perché, spesso, non hanno neppure il medico di base, non conoscono i propri diritti in materia di salute o non hanno una rete di relazioni e amicizie che li aiuti a districarsi tra l’offerta dei servizi sanitari».
La sanità che arranca non fa però solo più poveri in termini di denaro ma anche di salute. Secondo l’Istat il 7% della popolazione, pari a 4,1 milioni di assistiti, ha del tutto rinunciato alle cure, spesso per l’impossibilità di aggirare le liste di attesa rivolgendosi al privato. E quanto questo faccia male alla salute lo rivela sempre il Rapporto sulla povertà sanitaria, dove è evidente il contrasto tra il 4,3% di chi è in cattive o pessime condizioni di salute ma non economiche e il 6,2% di chi sta molto male ed è povero o rasenta la povertà. Casomai perché ha provato comunque a curarsi raschiando il proprio portafoglio. —